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  • Orizzonti puliti

    Orizzonti puliti

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    E’ il mio cruccio più grande quando giro con la fotocamera per le nostre campagne: non c’è un metro di orizzonte che non sia occupato da pali e tralicci del telefono o dell’elettricità.
    Ovunque giro lo sguardo, il cielo ed il profilo della campagna sono “sporcati” da questi supporti che, in alcuni punti, formano addirittura intrecci inestricabili.

    Ma era così difficile, una volta tanto, battere sul tempo i francesi? I cugini transalpini hanno messo le rotonde agli incroci stradali quando ancora noi avevamo la cabinetta con il vigile urbano in mezzo; e, sempre loro, hanno pensato bene di interrare tutte le linee, elettriche e telefoniche, che noi invece abbiamo mantenuto ben visibili e ad altezze che, in alcuni casi, sono state anche causa di incidenti.
    Meno male che il metano ha bisogno di tubi e non di fili per essere trasportato…

    E qui mi fermo, perchè, se continuassi, potrei tirare in ballo il fatto che in Pianura Padana ettari su ettari di terra buona per l’agricoltura vengono occupati per piazzare i pannelli fotovoltaici, invece di andarli a mettere in altri luoghi della Penisola assolutamente non coltivabili a causa della conformazione del suolo e della carenza d’acqua.

    Andrà a finire che vendo tutte le ottiche grandangolari che, da qualunque parte io possa girarmi, registrano anche “sporcizia” visuale e tengo solo il medio tele e l’obiettivo macro; almeno, fotogrando i fiori, gli unici fili che vedrò saranno quelli delle tele dei ragnetti.
    Che non disturbano e non inquinano.

    p.s. Lo so, potevo togliere i tralicci con Photoshop ma: a) è un lavoro ingrato b) se fossi un nano di Biancaneve, sarei sicuramente Brontolo.

  • I cavalli del Tavola

    I cavalli del Tavola

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    Avevo visto questo branco di cavalli in una uscita precedente sul Monte Tavola.

    Allora avevo cercato di avvicinarmi a loro usando ogni cautela per poterli fotografare ma, quando quasi ero a tiro di 200, era arrivata dal sentiero la signora di turno che con un bel “Eeeeehhhhh, i cavalliiiiiii !!!!” urlato ai quattro venti, li aveva fatti fuggire.

    Questa volta è andata un po’ meglio.

    Complici la giornata feriale libera da “…turisti fai da te, no Alpitour?” ed il caldo africano, sui prati prospicienti al Tavola c’ero solo io, i cavalli, qualche mucca, un torello dal carattere poco affabile ed una quantità da piaga biblica di mosche.

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    Quindi, un passettino alla volta, facendomi vedere ben bene da loro e compiendo movimenti misurati, ho potuto avvicinarmi e fare qualche scatto.

    Non tutte le foto hanno un fuoco impeccabile ed anche la composizione lascia parecchio a desiderare, ma le suddette mosche tormentavano a morte me ed i cavalli, impedendo a tutti di stare un attimo fermi.

    Comunque qualcosa ho portato a casa.

    E, fra tutte le cose belle che ho visto, meraviglioso e commovente è stato il modo in cui il branco circondava i due puledrini, per proteggerli dall’intrusione di quello strano animale con la groppa a forma di zaino ed il  muso a forma di 70-200 Nikon che si avvicinava a loro con fare sospetto.

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  • Un pomeriggio strano

    Un pomeriggio strano

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    Se qualcuno mi avesse detto che avrei fatto questa escursione a giugno, al Lago Santo, in un clima simil-tropicale, con un caldo afoso assolutamente alieno in queste zone e, ancor peggio, tormentato da nugoli di zanzare, gli avrei sorriso in faccia.

    Ed invece mi è accaduto veramente.

    Spero di cuore che si sia trattato di una casuale combinazione di fattori e che i catastrofisti del riscaldamento globale stiano esagerando, ma tant’è.

    Poi, una volta arrivato sulle rive di questo splendido lago, un temporale improvviso ha lavato l’aria e scacciato temporaneamente i piccoli vampiri, facendomi esclamare che – come sempre- ne è valsa la pena.

  • Il Monte Tavola e il Monte Fosco

    Il Monte Tavola e il Monte Fosco

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    La salita verso i prati del Monte Tavola, tutto sommato, è una delle più semplici che mi sia capitato di affrontare da quando ho iniziato a girovagare per i sentieri del Parco dell’Appennino Tosco-Emiliano.

    Però il largo sentiero che porta lassù attraversa tutti gli ambienti del Parco: la foresta e le radure, il bosco di faggi ed i pascoli ed è veramente piacevole da percorrere.

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    In questo periodo dell’anno, poi, i verdissimi prati sono punteggiati di una miriade di fiori bellissimi: ci sono ranuncoli, margherite, myosotis (non ti scordar di me), genziane, violette e, non l’avrei mai detto, orchidee.

    E’ un piacere per gli occhi e per… i fotografi.

    Da lì al Monte Fosco il tragitto non è lunghissimo, ma è abbastanza ripido.

    Non è stata una salita agevole ma, come sempre mi è accaduto fino ad ora, ne è valsa la pena, perché la vista è da capogiro.

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  • Papavero

    Papavero

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    Papavero: due parti di vino bianco frizzante, una parte di Campari, per i più sofisticati una spruzzatina di succo d’arancia, ghiaccio (poco) e una fettina d’arancia a guarnire. Questo nei bar di Viadana, all’ora dell’aperitivo.

    Papavero: è il nome comune di un genere di piante erbacee della famiglia delle Papaveracee. La specie più nota è il Papaver rhoeas, comunissimo nei campi all’inizio dell’estate. Questo su Wikipedia.

    Invece Poppy (Papavero) su 500px.com è il titolo (molto originale)  assegnato ad una mia foto che, con mia notevole ed immodesta felicità, ha raggiunto un punteggio altino nel gradimento dei frequentatori della nota comunità fotografica e la qualifica di “Popular”. Nulla di trascendentale, intendiamoci; anche perché, se la confronto con certi scatti dello stesso genere presenti sul sito, la prima ispirazione è quella di vendere l’attrezzatura e ritornare alla pesca agonistica.

    Chi mi conosce un poco penserà che sono impazzito, perché l’autocelebrazione  (mia e degli altri) è una delle cose che odio più profondamente.

    In realtà ho pubblicato questo post perché la foto… non è mia! O meglio: l’ho fatta io, sì, ma scopiazzando l’idea da una bellissima foto dell’amico Vincenzo Florio.

    Che ringrazio di cuore e con il quale prometto di dividere ogni provento del ricavato dall’eventuale vendita dello scatto.

    Nel frattempo Vincenzo, mi raccomando: non lasciare il tuo lavoro!

  • Dalla stalla alle stelle

    Dalla stalla alle stelle

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    Era da un po’ di tempo che mi frullava in testa di fare una uscita in notturna per fotografare le stelle e l’occasione si è presentata quando, con gli amici Misha e Roberto, ho deciso di effettuare una escursione alla Piana di Badignana, nel Parco dell’Appennino Tosco-Emiliano, con tanto di pernottamento in rifugio attrezzato.

    Siamo partiti io e Roberto in auto ed abbiamo raggiunto il Rifugio Lagdei, dal quale, dopo una cena non frugale, ci siamo diretti al rifugio Lagoni, dove abbiamo lasciato l’auto ed abbiamo iniziato la salita verso la Piana di Badignana, mentre cominciava ad imbrunire; arrivati a destinazione, abbiamo trovato la sgraditissima sorpresa di un rifugio in condizioni igieniche pessime.

    E qui mi permetto di aprire una parentesi non fotografica.

    Trovo assolutamente improprio il modo in cui è stata operata la gestione del rifugio Capanne di Badignana; al nostro arrivo abbiamo trovato una stanza assolutamente sporca e non intendo solo polverosa, senza un pezzettino di legna per poter accendere il fuoco, con cibo abbandonato a marcire in bella vista sulla credenza , senza acqua corrente (la chiusura dell’acqua è giustamente  prevista nel periodo invernale per evitare il gelo delle tubazioni, ma ormai da qualche settimana la temperatura notturna non scende sotto lo 0°) e con i materassi delle brande in condizioni igieniche pessime, da aver timore ad appoggiarci il sacco a pelo.

    Ora: capisco perfettamente che la conservazione dello stato di un rifugio dipende principalmente dal senso di responsabilità e dal grado di civiltà di chi ne usufruisce, ma chi mi affitta a pagamento una stanza, di qualsiasi categoria, deve essere in ogni caso garante delle sue condizioni, sia per quanto concerne la pulizia che la sicurezza (in montagna, con la neve alla porta, la scorta di legna asciutta per la stufa non è un lusso romantico, ma una assoluta necessità).

    Chiusa parentesi, per ora.

    Esaurita la scorta di sacramenti, abbiamo iniziato a fare qualche scatto in attesa dell’arrivo di Misha ed è stato a questo punto che si è scatenato, per fortuna, un bel temporale con tanto di lampi dietro alle nuvole; non sono impazzito: dico per fortuna perché i lampi di luce dei fulmini filtrati dalle nuvole hanno contribuito a rendere ancora più magico lo spettacolo del cielo punteggiato di stelle. Arrivato Misha e passato il temporale, abbiamo fatto ancora un po’ di foto (un bel po’) e poi, vista l’impossibilità di pernottare a Badignana, torcia alla mano (anzi, alla fronte) siamo scesi nel bosco per ritornare al rifugio Lagoni, con l’intenzione di fare qualche ora di sonno in auto. Prima di questo, però, abbiamo avuto anche l’impagabile piacere  di ammirare la Via Lattea in grande spolvero ed i riflessi delle stelle nel lago Gemini Inferiore ormai completamente privo di ghiaccio.

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    Alle 06.00, dopo qualche ora trascorsa senza riuscire a chiudere occhio e sotto i morsi di un freddo impietoso, colazione dietetica con barrette ed acqua naturale e poi siamo risaliti alla Piana, un po’ per riscaldarci con la camminata e un po’ per ritrarre la fioritura dei crochi, con pausa d’obbligo lungo il tragitto per fare conoscenza con una nuova cascatella del torrente Badignana e, ma qui cado nell’ovvio, fotografarla.

    Alla fine, un po’ provati ma assolutamente felici per quanto fotografato e, soprattutto, visto, abbiamo caricato armi e bagagli e siamo rientrati.

    E’ stata una esperienza assolutamente positiva, malgrado i contrattempi logistici, che conto di replicare non appena possibile, essenzialmente per il gusto assolutamente speciale di una escursione in notturna e poi perché ho imparato a conoscere un po’ meglio il comportamento della mia attrezzatura durante questi scatti per me inediti e molto particolari per impostazione ed esecuzione, il che mi consentirà, spero, di fare foto migliori la prossima volta.

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  • Rovine

    Rovine

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    Sono uscito questa mattina con l’amico Misha per un breve giretto fotografico.

    L’intenzione era di ritrarre le campagne allagate dalle fortissime piogge di ieri ed invece è andata a finire che ci siamo intanati in una delle tante corti di campagna abbandonate.

    E’ la mia prima volta per questo genere di scatti e quindi pubblico quelli più decenti – a mio parere, ovviamente – che sono riuscito a portare a casa.

    Aspettando quelli di Misha che già è bravo di suo con la fotocamera e in più, quando siamo entrati fra i ruderi, aveva anche l’occhio luccicante.

    Prevedo severa lezione di tecnica e composizione.

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  • Vedere e guardare.

    Vedere e guardare.

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    A lungo abbiamo temuto che non si potesse svolgere, a causa del maltempo e delle frane che stanno tutt’ora martoriando i pendii dell’Appennino parmense, il workshop “L’acqua e il bianco e nero”, organizzato da Misha Cattabiani con la collaborazione di Erik Concari; ma, alla fine, domenica 14 aprile ce l’abbiamo fatta. Ed è valsa la pena aspettare.

    La parte teorica, oltre alle impostazioni fondamentali della fotocamera, ha riguardato lo studio della composizione in funzione dell’ottenimento di immagini in bianco e nero e la relativa post-produzione specifica. A tale proposito debbo ammettere che lo studio dello sviluppo dei negativi digitali effettuato al Rifugio Lagoni si è rivelato particolarmente interessante anche grazie al contorno di piatti quali la zuppa di legumi, i taglieri di salumi e formaggi e salsicce e polenta per i più “studiosi”.

    La parte pratica ci ha portato ad effettuare scatti in alcuni dei luoghi incantati di questo angolo di Appennino, con soggetto le cascate dei numerosi affluenti del torrente Parma.

    Desidero ringraziare Misha, Erik e tutti i partecipanti allo stage per la splendida giornata trascorsa insieme e per aver contribuito ad incrementare le mie scarse conoscenze dell’arte fotografica.

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  • Pagamenti in natura

    Pagamenti in natura

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    Il mio amico Gian è il cuore creativo della Pasticceria Torino in Parma, attività gestita dalla sua famiglia fin dagli anni ’50.

    Mi ha invitato a fare qualche foto nel bellissimo locale di via Garibaldi ed io ho accettato con entusiasmo perché non capita tutti i giorni di poter scattare immagini di questo tipo, in un ambiente assolutamente originale e, complici le festività pasquali, arricchito con i vivaci colori delle confezioni delle uova di cioccolato, delle colombe pasquali e di mille altre golosità.

    Questo, oltre a costituire per me una occasione di studio e sperimentazione delle problematiche tecniche e compositive di questo genere di foto, è stato anche un modo per mettere alla frusta in condizioni di luce particolari la D800, che già in qualche occasione ha dimostrato di essere particolarmente magnanima nel perdonarmi marchiani errori di esposizione .

    Ma, su tutto, l’elemento decisivo che mi ha spinto ad accettare è stato il fatto che la ricompensa è avvenuta con prodotti di stagione…

  • Workshop fotografici

    Workshop fotografici

    sergio_101Pur avendo già provato a fare foto nel passato (remoto) e malgrado, da circa un anno, io abbia ripreso in mano la reflex, fino al 3 febbraio di quest’anno non avevo mai avuto occasione di partecipare ad un workshop fotografico. Se devo dirla tutta, ero un po’ scettico nei confronti di queste attività;  non perché mi considerassi già un fotografo fatto e finito, anzi, tutto il contrario. Però ero abbastanza restio ad iscrivermi ad uno dei numerosissimi workshop che vengono organizzati un po’ dappertutto, in ogni stagione e, duole dirlo, un po’ da chiunque.

    Poi, casualmente, facendo ricerche sul web riguardo ad una cascata del torrente Parma, ho trovato il nome di Misha Cattabiani, fotografo in Parma (non dentro al torrente…) e sul suo sito web ho scoperto che organizza periodicamente dei workshop fotografici tematici nei luoghi che prediligo per i miei scatti, cioè fra i boschi dell’Appennino parmense. Un po’ per curiosità ed un po’ per il gusto di fare una ciaspolata nella neve in compagnia di altri appassionati di fotografia, mi sono iscritto e, col senno di poi, posso affermare che è stato un vero peccato non averlo fatto prima.

    A parte la professionalità di Misha e del suo collaboratore Erik Concari nel tenere le “lezioni” di teoria, ho apprezzato moltissimo la loro affabilità e simpatia. E, cosa che non guasta visto il contesto, ho anche imparato diverse cosette. Intendiamoci: essendo un vero divoratore di libri, manuali e pubblicazioni fotografiche, molte cose mi erano note; però il rischio noia è stato scongiurato dal programma di istruzione e sentirsi ripetere da persone competenti determinate parti teoriche, ottenere spiegazioni su alcuni punti oscuri o male interpretati e cercare di applicare immediatamente, sul campo, la teoria, ha un’altra valenza.

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    Fra gli aspetti positivi, poi, c’è da considerare anche la possibilità, a cui accennavo poc’anzi, di entrare in contatto con altri appassionati fotografi e, anche da questo punto di vista, posso dire che l’esperienza del 3 febbraio è stata sicuramente appagante, avendo fatto conoscenza con alcune persone veramente simpatiche ed appassionate.

    Tutto rose e fiori? No. La prossima volta – e ci sarà una prossima volta il 14 aprile  – dovrò prendere una decisione drastica: o metto meno attrezzatura fotografica nello zaino o noleggio un mulo.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    Foto di Misha Cattabiani e Erik Concari

  • Quando c’era la pellicola #2

    Quando c’era la pellicola #2

     

    bruxelles

    Anche per questa immagine trovata nel cassetto dei ricordi vale il discorso già fatto in precedenza riguardo alle mie capacità fotografiche; allora nessuno mi aveva spiegato che, nei ritratti, si dovrebbe mettere a fuoco l’occhio più prossimo all’obiettivo; ed io a quei tempi scattavo diciamo, per non essere volgari,  alla random, ovvero dove coglievo, coglievo.

    Fatta la dovuta tara per il trasferimento prima da diapositiva a supporto cartaceo e da questo a scansione digitale, questo scatto è comunque sfocato in modo vergognoso. Però ci sono affezionato come a nessuna altra foto. E non mi so nemmeno spiegare il motivo. Forse sarà solo perché, invecchiando, si diventa più sentimentali nei confronti delle cose del passato.

  • Serenità di giudizio

    Serenità di giudizio

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    Appena rientriamo da una sessione fotografica, la prima cosa che facciamo è infilare la SD nel computer per scaricare le immagini scattate e iniziamo immediatamente a visualizzarle con Lightroom o Photoshop. Man mano che facciamo scorrere i nostri scatti iniziamo immediatamente ad operare una selezione: cestiniamo senza rimpianti quelli inutilizzabili (solo un paio di accidenti se si tratta di scatti unici), cerchiamo di recuperare quelli che presentano qualche difetto ed apprezziamo quelli che ci soddisfano.

    Raramente, però, ci esaltiamo per qualche immagine riuscita bene. Questo non perchè siamo dei mostri di modestia; semplicemente intuiamo che una determinata foto “funziona”, ha delle potenzialità, ma abbiamo bisogno di ricevere conferme del nostro giudizio iniziale da altre persone. Il passo successivo è la condivisione sui siti social più diffusi: Flickr, Facebook, 500px e così via; qui non mancheranno certamente gli apprezzamenti, anche perchè pigiare un “mi piace” tanto per far piacere al conoscente o all’amico, costa pochissimo. Ma non credo che questo ci possa soddisfare pienamente.

    Sentiamo la necessità ricevere un giudizio più “competente”, magari sottoponendo il nostro lavoro a circoli fotografici o forum di discussione specializzati. Il problema però, è che, ogni giorno, vengono caricate in rete milioni di immagini ed è molto complicato ottenere la visibilità necessaria.

    E allora? Rimane solo un’ultima risorsa: avere la pazienza e l’umiltà di confrontare i nostri scatti con quelli di altri fotografi – non necessariamente o non unicamente con i maestri dell’immagine – e crearci uno spirito critico che ci permetta di giudicare il nostro lavoro con la stessa severità che utilizzeremmo per il lavoro degli altri. Il solo atto di porsi la fatidica domanda “Ma come ha fatto?” oppure ammettere che “Le mie foto non vengono come queste, dov’è che sbaglio?” è un notevole progresso.