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    Foto animate

    Quando la Fotografia si fonde con l’Arte Digitale: l’incontro tra le mie foto e le opere grafiche di Bianca Tassoni

     

     

    Nel mondo dell’arte visiva, le collaborazioni tra diversi medium possono dare vita a opere sorprendenti. Recentemente ho avuto il piacere di collaborare con una disegnatrice professionista, Bianca Tassoni, che ha lavorato con alcune delle mie fotografie e le ha arricchite con elementi disegnati e tradotti digitalmente. Il risultato finale è qualcosa che va oltre la fotografia, creando una fusione unica di realtà ed immaginazione.

    In questo articolo voglio raccontarvi com’è nata questa collaborazione e farvi scoprire il processo creativo dietro le immagini, ponendo alcune domande (spero intelligenti, essendo io più che ignorante in materia) a Bianca.

    La collaborazione con Bianca è nata da una richiesta degli amici della Pro Loco di Viadana, per la creazione di materiale adatto a pubblicizzare – sui social ed altri canali di diffusione – la corsa ciclistica non competitiva denominata La Sabbiosa, che rinnoverà il suo appuntamento annuale a metà del 2025, esattamente il 29 giugno, e che si articolerà in tre diverse categorie in base alla distanza di percorrenza, con partenza da Viadana (MN) e percorsi distinti che toccheranno diversi punti assolutamente interessanti dal punto di vista architettonico e naturalistico del territorio compreso fra i fiumi Oglio e Po, con alcune soste dedicate sia al ristoro che alle relazioni di esperti, per far meglio conoscere ai partecipanti il territorio che stanno percorrendo in bici.

    L’idea di base era quella di combinare la bellezza congelata in un istante della fotografia con la libertà dell’illustrazione grafica. Ogni foto racconta una storia, ma attraverso il disegno si possono aggiungere nuovi significati, atmosfere e dettagli che vanno oltre la realtà catturata dall’obiettivo. Con il progredire del progetto ho potuto apprezzare sempre di più la capacità creativa di Bianca e, soprattutto, l’estrema “delicatezza” che lei ha usato per introdurre i suoi disegni nelle mie foto, un rispetto che non è scontato e che, per quel che mi riguarda, ha contribuito a farmela apprezzare ancora di più come creativa e professionista. 

    – Ciao Bianca, grazie per aver accettato questa intervista. Puoi raccontarci un po’ del tuo lavoro e di come ti sei avvicinata all’illustrazione digitale?

    Ciao a tutti i lettori. Prima di tutto mi presento: mi chiamo Bianca Tassoni,   ho 22 anni e sono una fumettista professionista. Sono partita dalla mia grande passione e sto riuscendo, poco alla volta, a trasformare questa passione in un lavoro, creando una mia un’identità ben precisa, essenziale in questo mondo, tutto ciò grazie soprattutto al grande studio che ho fatto presso l’Accademia Europea di Manga, che mi ha permesso di elevare le mie capacità grafiche partendo dalle basi. Durante gli anni di studi ho potuto variare e scoprire diversi approcci a questa arte del fumetto giapponese, dal tradizionale disegno su carta con pennino ed inchiostro fino al disegno digitale con computer e tavoletta grafica. Le mie ispirazioni artistiche provengono dai grandi maestri di questo genere come Miura Kentarou e Inoue Takehiko, giusto per citarne un paio. Essi lavorano con uno stile prettamente realistico nelle loro opere più famose, affermandosi nel genere chiamato “seinen”, il genere per adulti. Al momento sono inserita in uno studio di webtoon, “Simple but fire”, e sono al lavoro su due serie con pubblicazione settimanale.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    Come si è sviluppata la nostra collaborazione, dopo il periodo di “studio” iniziale? Cosa ti ha colpito delle foto che ti ho dato da modificare?

    – Le tue foto, Sergio, sono foto sicuramente pensate, non fatte con un telefono e via. In esse percepisco un pensiero, una passione e una dedizione di un professionista, soprattutto per intrappolare dentro alla macchina fotografica il momento perfetto, il momento in cui tutto sembra “sospeso” per un attimo. I colori, le luci, le ombre e gli elementi che fotografi non sono posizionati o messi per caso, dietro c’è uno studio nell’elaborazione dei giusti pesi visivi per guidare l’occhio dello spettatore esattamente dove tu desideri indirizzarlo. Nelle tue foto il soggetto è l’ambiente, e che soggetto! La Pianura Padana, per quanto semplice e forse noiosa, sa regalare a chi ha un occhio più attento momenti pazzeschi, quasi fatati.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    Qual è stato il processo creativo dietro l’aggiunta degli elementi disegnati? Come hai scelto gli stili e i colori per ciascuna fotografia?

    – Ho scelto uno stile leggermente più semplificato rispetto a quello che adotto di solito nei miei lavori, perciò andando a togliere luci ed ombre che di solito ottengo con tratteggi e campiture di nero, rimpiazzando invece con i colori forniti di volta in volta dalle palette visive nelle tue fotografie.

    Come definiresti la combinazione di fotografia e illustrazione che hai creato? Quali emozioni o messaggi speri di trasmettere attraverso queste opere?

    – Spero che con il binomio fotografia ed illustrazione arrivi il messaggio di ciò che è l’evento “La Sabbiosa”, con una chiave di lettura diversa dal solito. Spero davvero che tra i miei personaggi qualcuno si sia riconosciuto, anche vagamente, o abbia anche ispirato all’iscrizione e quindi scoprire una volta per tutte le emozioni che porta questo evento, e soprattutto questi luoghi che ci circondano.

    Quali sono le sfide più grandi che hai affrontato lavorando su questo tipo di progetto? C’è stato qualche momento in cui il processo creativo ti ha sorpreso?

    – Una delle sfide più grandi per me è stata quella di riuscire a trovare il tempo di lavorarci in mezzo alla quantità enorme di lavoro in cui già sono sommersa, anche perchè in fin dei conti ne sono uscite 21 nell’arco di questo anno! Sono comunque felice di aver contribuito a questo evento ed averne trovato il tempo per accontentare tutte le richieste del team Sabbiosa. Sono altresì contenta personalmente di come mi sono riusciti i disegni e di come sono riuscita ad integrare i personaggi con le foto di sfondo, sfida non molto semplice, ma anzi penso che si possa fare ancora di meglio.

     – Per i lettori interessati a esplorare il mondo dell’illustrazione digitale, hai qualche consiglio su come iniziare o migliorare?

    – Prima di tutto è importante avere una buona base in tradizionale, poi si può passare al digitale. Il consiglio che danno tutti i professionisti è semplicemente quello di continuare a disegnare soprattutto partendo dalle basi e non focalizzarsi solo sulle cose che si sanno già fare, quindi sperimentare, studiare e disegnare come dei forsennati!

    – Ti ringrazio di cuore, Bianca.

    – Grazie a te, Sergio.

    Ora che il lavoro è terminato e rimane solo da partecipare alla Sabbiosa (a tale proposito desidero ricordare l’enorme lavoro organizzativo portato avanti da tutti i volontari della Pro Loco di Viadana), posso dire con una certa sicurezza che questa collaborazione è stata un’esperienza straordinaria che ha dato vita a qualcosa che ritengo unico, non tanto come mezzo espressivo (non siamo certo dei pionieri, io e Bianca) ma per l’empatia ed il rispetto reciproco con il quale esso è stato sviluppato. La fusione tra fotografia e illustrazione ha aperto nuove possibilità creative e mi ha permesso di vedere le mie immagini sotto una luce decisamente diversa.

    Ringrazio ancora Bianca per aver condiviso il suo talento e il suo processo creativo con me. 

    Se vi è piaciuto questo progetto e volete vedere altre collaborazioni simili, continuate a seguire me su questo contenitore e sui social (Instagram sergio_marcheselli) così come Bianca, per scoprire tutto il suo lavoro (Instagram _artybianca_ ).Inoltre, se avete domande per Bianca, sentitevi liberi di lasciarle nei commenti all’articolo.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  • il grande rifiuto – Cinque anni dopo

    il grande rifiuto – Cinque anni dopo

    “Solo gli stolti non cambiano idea” ma è passato un lustro e questo lasso di tempo, in campo fotografico digitale, equivale ad una eternità.

    Nell’agosto del 2016, di ritorno da un periodo di vacanza in montagna in cui avevo portato con me solo una mirrorless Olympus micro 4:3 e non la “solita” attrezzatura reflex, scrivevo su queste pagine:

    “In futuro cambierò l’attuale attrezzatura DSLR? Non credo proprio (volevo scrivere “manco morto” ma era decisamente fuori luogo), almeno nell’immediato. Piuttosto mi accomoderò sulla riva del fiume ed aspetterò sviluppi da mamma Nikon, un po’ per partito preso ed un po’ perché, malgrado il sistema micro 4:3 sia molto evoluto, la disponibilità e la varietà (mi sparate se dico anche la qualità?) di obiettivi del sistema 35mm è tutt’ora ineguagliata. Inoltre: non ho le mani come badili, ma mi trovo a disagio con una fotocamera ammirevolmente dotata di numerosi controlli fisici sul corpo ma che faccio fatica a settare “alla cieca”; se dovesse uscire una mirrorless con il corpo macchina di una full frame, beh, sarò il primo ad interessarmene.”

    Ecco, rileggendo questo passo a distanza di cinque anni, debbo dire che ero stato parecchio categorico ma, ugualmente, avevo lasciato aperto uno spiraglio, indicando a grandissime linee quali erano i miei desiderata al riguardo.

    Nikon Z7 – Nikkor Z 14-30 f/4 S – 1,5″ f/11 ISO 64

    Con il senno di poi, direi che sono stato ampiamente accontentato: sono state messe in commercio da “mamma Nikon” fotocamere mirrorless full frame, la Nikon Z7 e la Z6, con caratteristiche per me decisamente interessanti (alcune sorprendenti) e soddisfacenti, non ultimo il corpo macchina di dimensioni adeguate e con tutti i controlli analogici a portata di mano come sulle DSRL utilizzate fino a poco prima (D850 e D500). E non solo: anche il segmento del formato ridotto (il cosiddetto DX, per Nikon) è stato movimentato con alcune fotocamere (Z50 e Zfc) probabilmente immature e “servite” in modo inadeguato dal parco obiettivi DX ma, comunque, testimonianza che si sta lavorando per poter offrire al fotografo che ha deciso di scegliere Nikon soluzioni promettenti in prospettiva.

    Ma quali sono, alla fine, le caratteristiche nel nuovo segmento di fotocamere digitali che mi hanno convinto a fare il salto?

    Dei corpi macchina di adeguate dimensioni ho già detto, anche se questo aspetto è applicabile essenzialmente alle due full frame, ovvero la Z6 e la Z7 versione I e II, mentre invece le DX un po’ piccolotte lo sono, anche se dopo aver provato la Z50 posso dire che mi aspettavo di peggio; sono curioso di mettere le mani su una Z9, che ha tutte le probabilità di diventare una game changer.

    Altra peculiarità che mi ha convinto è stata, e questo è quasi banale, l’assenza dello specchio. Fotografando paesaggi, soprattutto in carenza di luce (cioè pressoché sempre, perché alba e tramonto non sono note per la loro luminosità) era obbligatorio confidare nella sacra trinità treppiede/specchio alzato/scatto remoto proprio per mitigare le vibrazioni indotte dall’alzarsi ed abbassarsi dello specchio della reflex, che potevano generare micromosso. Ora lo specchio non c’è più, lo scatto remoto ed il treppiede si usano solo quando si vogliono ottenere fotografie da lunga esposizione e a questo occorre anche aggiungere che le Nikon Z hanno la stabilizzazione sul sensore e non più sugli obiettivi, garantendo una “sicurezza” di scatto precedentemente inimmaginabile.

    Nikon Z50 – Nikkor 500 PF f/5.6 – 1/160″ f/5.6 ISO 800

    Non parliamo, poi, della foto naturalistica. Anzi, parliamone. A me piace moltissimo ritrarre gli uccelli, in particolare i passeracei; prima, quando un amico pennuto decideva di posarsi sul ramo davanti a me, accuratamente scelto o preparato in precedenza, avevo il tempo materiale per tre foto a raffica, perché poi il rumore dello specchio e dell’otturatore facevano volar via il soggetto; ora, come detto, senza specchio e con lo scatto elettronico, sono libero di scattare quanto voglio o, almeno, fino a che è il soggetto che decide di andarsene. Ed anche in questo caso, non essendoci il movimento su-giù dello specchio e la stabilizzazione efficacissima, posso permettermi tempi di scatto non elevatissimi, pur utilizzando l’adorato Nikkor 500mm PF che non è propriamente un pancake.

    Altro aspetto peculiare delle mirrorless è il mirino, non più ottico ma elettronico, praticamente un piccolo monitor a cui appoggiare l’occhio e da cui non toglierlo più per visualizzare l’LCD; il mirino elettronico ha la capacità di mostrare esattamente ciò che il sensore sta registrando, fornendo informazioni istantanee al fotografo per quanto concerne         esposizione, contrasto e, ovviamente, composizione, senza contare altre informazioni utilissime come dati di scatto, livella elettronica e così via. Caratteristiche, queste, utilissime in paesaggistica ma, a maggior ragione, in naturalistica, dove qualsiasi movimento del corpo, compreso lo spostare l’occhio dal mirino all’LCD per controllare la foto scattata può mettere in allarme la “preda” della caccia fotografica. Rimangono da migliorare alcuni aspetti, su tutti il mirino oscurato durante una raffica di scatti.

    Vogliamo poi parlare della taratura delle lenti? Una pratica costante, soprattutto nei teleobiettivi medi e lunghi, era verificare ed eventualmente calibrare il più esattamente possibile l’autofocus per evitare problemi di front o back focus. Non è più necessario, ora la messa a fuoco avviene direttamente sul sensore. E, a proposito di lenti: quelle native per il sistema Z della Nikon surclassano sotto molti aspetti le loro corrispondenti del sistema F e, da sole, sarebbero già un valido motivo per passare al sistema mirrorless Nikon senza pensarci un attimo (esperienza personale: il trittico di zoom 14-24, 24-70 e 70-200 f/2.8 è migliore dello stesso trittico con attacco F e, da ciò che leggo in giro, anche di parecchi fissi delle case concorrenti). D’accordo, manca qualche obiettivo – soprattutto i lunghi teleobiettivi – per essere a pieno regime, ma anche in questo caso i lavori procedono celermente ed il calendario di uscita delle nuove lenti si arricchisce di giorno in giorno. Senza dimenticare che, grazie all’adattatore Nikon FTZ (ora giunto alla seconda versione più “magra”) è ancora possibile montare sulle mirrorless Nikon tutte le lenti Nikkor prodotte fino a alcuni decenni prima, sacrificando solo nel caso delle lenti più datate alcuni automatismi.

    Allora va tutto bene? Non proprio, ci sono ancora alcuni aspetti in cui le fotocamere Nikon mirrorless devono recuperare terreno rispetto alle ammiraglie reflex e ad altri prodotti top delle case concorrenti: mi riferisco in particolare all’AF continuo da utilizzare nella fotografia di azione (sport, naturalistica); ed anche il riconoscimento viso/occhi che è stato implementato con grandi risultati nel ritratto di persone è abbastanza acerbo per quanto riguarda la fotografia di animali.

    Detto tutto ciò, non mi resta che recitare il mea culpa per le posizioni un filo intransigenti assunte qualche anno fa e guadare con ottimismo al futuro. Come detto sopra, proprio in questi giorni viene commercializzata la prima ammiraglia mirrorless Nikon, la Z9, che ha tutte le carte in regola per diventare un termine di paragone assoluto per il futuro prossimo e per chiunque produca fotocamere.

    Nikon Z6 – Nikkor Z 70-200 f/2.8 – 1/125″ f/3.2 ISO 3200
  • Appunti di sport

    Appunti di sport

    Nota di colore: ammetto che per un attimo, uno solo, avevo pensato ad un titolo tipo “Quella sporca ultima meta“, ma poi mi sono trattenuto.

    Comunque: non avevo mai provato a cimentarmi con la fotografia sportiva e l’occasione si è presentata con la partita di semifinale di andata del Campionato Italiano di Eccellenza di Rugby fra il Viadana ed il Calvisano.

    Il primo passo è stato quello di capire quali potevano essere le pre-impostazioni valide da utilizzare per la fotocamera: un conto è fotografare un paio di papaveri in un campo di grano ben radicati a terra, con treppiede, ISO al minimo, telecomando, specchio alzato, eccetera ed un altro è ritrarre atleti in azioni di gioco che si svolgono a velocità impressionante, con repentini cambi di direzione, luce variabile e l’intromissione improvvisa di soggetti fra il fotografo ed il soggetto principale. Mi sono riletto un testo semplice ma ricco di suggerimenti che mi è venuto buono in diverse occasioni, ho stalkerato un amico fotografo, ho spulciato un po’ il web e sono arrivato alla conclusione che la fotocamera più adatta da utilizzare (guardando nel mio zaino, ovviamente) era la Nikon D500, che con il formato DX (quasi equivalente al formato APS-C di Canon) mi avrebbe permesso di moltiplicare di una volta e mezza la lunghezza focale dell’obiettivo scelto, nel mio caso uno zoom Nikkor 70-200 f/2.8, senza contare l’ottimo modulo autofocus e il buffer capientissimo; l’obiettivo era un po’ “corto” per lo scopo, malgrado la moltiplicazione, ma questo passava il convento, considerando che l’unica alternativa per me praticabile era lo zoom Nikkor 200-500 f/5.6, indubbiamente adatto per lunghezze focali disponibili ma meno luminoso del fratellino e, vista la giornata prima piovosa e poi nuvolosa e l’orario di inizio del match fissato per le 16.00, ero ancora più convinto della scelta fatta.

    Per quanto concerne, poi, le impostazioni vere e proprie, la ricetta che ho utilizzato è semplice: sistema di autofocus continuo (per Nikon si chiama AF-C), priorità alla apertura di diaframma per poter decidere cosa avere a fuoco, ISO automatici in base ad una velocità di scatto prefissata; in pratica ho detto alla macchina di decidere a che ISO scattare mantenendo inalterato il tempo di scatto prescelto di 1/1000 di secondo. A tale proposito ho imparato una cosa nuova: quando modifichiamo la sensibilità ISO in macchina, generalmente possiamo farlo con variazioni standard (100 ISO, 200 ISO, eccetera); invece impostando l’automatismo ISO, questo varia in base alla necessità di scatto anche per frazioni di centinaia, tanto è vero che ho una foto scattata a ISO 560, per esempio. Per la memorizzazione degli scatti, seppure con qualche dubbio, ho optato per il formato .jpeg alla massima qualità possibile, rinunciando al tanto amato .raw; ciò mi ha permesso di utilizzare in tutta tranquillità le raffiche di scatto necessarie, senza riempire immediatamente la memoria (anche se, come già accennato, per riempire il buffer della D500 sarebbe necessario mettere una pietra sul tasto di scatto e andare al bar) e di portare a casa files comunque decenti. Accessorio decisamente indispensabile si è rivelato, poi, il monopiede Manfrotto, che ha svolto il doppio compito di donare una certa stabilità alla fotocamera e ha decisamente alleggerito il peso da reggere. E le mie spalle ringraziano.

    Impressioni sul campo (letteralmente)? Non è facile, non lo è per niente. Dopo questa seppur minima esperienza, guarderò con ancora più ammirazione i fotografi che lavorano agli eventi sportivi di qualsiasi genere. Coniugare qualità tecnica dello scatto, indispensabile affinché la foto venga presa in considerazione dai media, con un minimo di contenuto che renda interessante l’immagine stessa richiede veramente una miscela di perizia tecnica, esperienza e, è bene non scordalo mai ma questo vale anche per gli altri generi fotografici, amore per ciò che si fotografa.

    Ringrazio l’amico Claudio Benatti per il supporto, la società Rugby Viadana 1970 per il pass di accesso al rettangolo di gioco e l’amico Luca Zanella per le dritte fotografiche.

    Ah, il  Rugby Viadana ha vinto e mi auguro che la semifinale di ritorno in terra bresciana abbia uguale esito positivo, in modo da poter accedere alla finale scudetto.

  • Latte e oro

    Latte e oro

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    Non ho alcuna intenzione di alimentare “guerre di religione” (ce ne sono già abbastanza in giro) fra i fans del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, perché sempre di eccellenze assolute stiamo parlando. Il fatto è che ho avuto la grande fortuna di poter visitare un importante caseificio della mia zona e di poter assistere a molte fasi della lavorazione primaria del Grana Padano e ne sono rimasto letteralmente affascinato.

    Se non fosse per i macchinari moderni che hanno sostituito alcuni oggetti e fasi di produzione del passato e per le ferree norme di igiene che vengono scrupolosamente osservate, tutto il resto è una immersione totale, nostalgica, in gesti sapienti, in profumi, sapori e colori che hanno radici agli inizi del secondo millennio e che, da allora, hanno attraversato il tempo per giungere fino a noi, intatti.

    Ringrazio di cuore la Latteria Italia di Bellaguarda (Mantova), i titolari ed il personale, per l’ospitalità e la pazienza riservata a me ed all’amico Lorenzo, compagno di fotografie.

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  • Heysel, 29 maggio 1985

    Heysel, 29 maggio 1985

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    Trent’anni dopo. Per non dimenticare.

    E’ quasi mezzogiorno quando arriviamo a Bruxelles. Il viaggio è stato interminabile, soprattutto per me che non riesco a dormire in pullmann. Lungo il percorso ogni tanto abbiamo superato altre carovane di tifosi juventini, con i quali ci siamo salutati chiassosamente, ma avvicinandoci alla città il numero di pullmann bianconeri è aumentato in maniera esponenziale: siamo una marea e questo, anche se si tratta solo di una illusione, ci fa ben sperare per l’esito della partita.

    Il parcheggio che ci hanno riservato è grandissimo ed è stracolmo di tifosi. Cerco qualche faccia conosciuta, ma so che è inutile. Solo io, Gino e Fabio siamo arrivati qui per strada; gli altri tifosi partiti da Viadana stanno arrivando in aereo, beati loro che possono. Cerchiamo le indicazioni per lo stadio. Non ce ne sono oppure non le vediamo, seguiamo la corrente bianconera, qualcuno là davanti saprà dov’è. Una breve pausa per una foto davanti all’Atomium: l’ho visto mille volte sui libri di geografia e vederlo dal vero mi fa un certo effetto.

    Finalmente arriviamo nei pressi dello stadio: esternamente non ci sembra granché, spero che sia meglio all’interno. Sui prati attorno allo stadio ci sono tantissimi gruppetti di tifosi: c’è chi mangia, chi dorme, chi legge la Gazzetta e avvicinandoci sentiamo i discorsi concitati di mille allenatori; ognuno ha la sua formazione e la sua tattica di gara, ci accomuna solo la speranza che non si ripeta la beffa di Atene.

    Io, apprensivo come al solito, voglio individuare l’ingresso del nostro settore per non essere impreparato quando apriranno i cancelli; Gino e Fabio mi prendono in giro ma si uniscono a me nella ricerca. Ci avviciniamo al perimetro dello stadio e cominciamo a percorrerlo. Nei pressi di quella che dovrebbe essere la tribuna centrale ci sono delle transenne. Qui non si passa. Facciamo un giro più ampio e arriviamo in corrispondenza di una delle curve. Sarà la nostra? Assorti nella ricerca, non ci siamo accorti che il colore dei prati circostanti è gradualmente mutato: da verde, bianco e nero è diventato verde e rosso. Qui ci sono i tifosi del Liverpool. Nella illusoria speranza che la mia maglia bianconera e quella di Fabio non risultino così evidenti (come se quella blu da trasferta di Gino con il logo Ariston, lo scudetto e le stelle sembrasse una normale polo…) proseguiamo nel nostro cammino. Non posso fare a meno di sbirciare i volti dei tifosi inglesi, nel timore di una espressione di minaccia e nella speranza di un sorriso di complicità.

    Un ragazzo si stacca da un gruppetto numeroso e si avvicina. Sorride timoroso, indica la mia maglia e mi parla. Accidenti, come è diversa la sua parlata dall’inglese della prof.; comprendo la metà delle sue parole, ma capisco che vuole cambiare la mia maglia con la sua. Perché no? Magari ci speravo in una cosa del genere e forse sarà per questo che, oltre alla maglia ufficiale, mi sono portato una maglia replica acquistata su una bancarella davanti al Comunale prima della partita con il Bordeaux. Facciamo lo scambio. E’ bella la loro maglia, di un rosso che comunica passione; chissà quand’è che la Juve deciderà di adottare le maglie fatte con questo tessuto lucido. Ci diamo la mano e ci salutiamo. Io gli dico: “Good luck”, ma non lo penso veramente, non per stasera almeno.

    Proseguiamo nella nostra ricerca, arriviamo quasi alla fine della curva prima del settore dei distinti; qui c’è un po’ di movimento. Non capiamo o forse capiamo ma non ci sembra possibile. Ci sono dei tifosi a cavalcioni del muro di cinta che in questo punto mi sembra più basso che altrove e con il filo spinato rotto; altri tifosi stanno passando loro dei contenitori, sembrano casse di birra. Forse stanno portando dentro degli striscioni, ma qualcosa ci dice che la prima impressione è quella giusta. Questi sembrano meno amichevoli di quelli che abbiamo incontrato prima e allora decidiamo di non indugiare troppo e ci allontaniamo rapidamente.

    Heysel_002Passato il settore dei distinti, l’ambiente torna a tingersi del rassicurante colore bianconero e vediamo anche un cancello con sopra un cartello che recita “Juventus”; non ci è dato di sapere se è l’ingresso del nostro settore, ma una valutazione della piantina dello stadio disegnata dietro al biglietto di ingresso ci spinge a pensare che sia così. Chiedo a tutti quelli che incontro se è questo il settore ‘N’ e puntuale arriva la presa in giro di Gino e Fabio. Siamo arrivati e anche se è un po’ presto, decidiamo di fermarci qui. Anni di partite al Comunale ci hanno insegnato che se non sei davanti ai cancelli quando aprono, ti rimangono i posti peggiori.

    Il pomeriggio avanza, fa caldo (perché quando compri la maglia ufficiale ti mandano sempre quella a maniche lunghe invernale?), il numero di tifosi aumenta e tutti si accalcano. Già da tempo abbiamo rinunciato a stare seduti e, per giunta, nel gruppo si è infilato anche un poliziotto a cavallo ed io, con la mia solita fortuna, sono faccia a faccia con il quadrupede. Spero che sia stato addestrato bene. Sorrido al poliziotto, nella speranza che capisca che qui non ci sono teppisti, ma lui non si smuove. “Vabbè, l’importante è che tu tenga buono Furia” penso io.

    Cresce l’eccitazione. La batteria dell’orologio mi ha abbandonato, ma penso che ormai ci siamo. Ora aprono. E’ come una scossa. Cominciano i cori “Juve, Juve” prima ancora di entrare. Siamo dentro. Ci sistemiamo in una posizione decente, vicino ai distinti e cominciamo a studiare quello che sarà il teatro della partita. Il prato è uno splendore. Qui il verde sembra – se possibile – più verde, che meraviglia. Però il resto non è granché: lo stadio non ci sembra molto grande; sicuramente è molto vecchio e comunque tenuto male. Addirittura i gradini larghi e bassi sono in più parti sbriciolati. Penso che sia quasi meglio il Comunale, che ho tante volte denigrato. Ricomincio a fare il solito giochetto delle “forze” sugli spalti, come se il numero dei tifosi fosse decisivo. Guardo verso al curva opposta alla nostra, dove ci sono i nostri “nemici”, ma non è tutta rossa: nella parte verso le tribune ci sono degli juventini. Chissà, forse siamo talmente in tanti che ci hanno riservato anche quel settore. Intanto lo stadio si riempie. Per ingannare l’attesa si parla, si legge un quotidiano faticosamente mendicato al vicino; ogni tanto qualcuno parte con un coro e allora tiriamo su sciarpe e bandiere e cantiamo per darci coraggio e sperando di darne ai giocatori. C’è uno dietro di me che ha uno striscione con scritto “Mamma sono qui”. Questa mi mancava.

    L’eccitazione aumenta sempre più. Non riesco più a calmarmi, se continuo di questo passo esaurirò le unghie prima dell’inizio della partita. Un boato. Sono entrate delle persone con la tuta della Juve sul campo. Da qui non riconosco i volti, potrebbe essere il massaggiatore, ma potrebbe essere anche Platini. Quanto manca? Sono quasi le sette. Manca ancora parecchio ed i minuti sembrano espandersi nell’attesa. Mi metto tranquillo. Ma dura poco.

    Heysel_004Un brivido percorre la curva, forse stanno entrando i giocatori a vedere il terreno di gioco. No, sta succedendo qualcosa sulla curva opposta. Cerco di capire. Dai due settori riservati ai tifosi del Liverpool stanno lanciando degli oggetti verso il settore degli juventini, sembrano bottiglie, forse sassi, non vedo bene. La parte della curva bianconera fischia, anche noi fischiamo. Ma proprio stasera dovevano fare casino? Fra le due tifoserie compatte si è aperta una frattura. Poi, come comandati da un unico impulso, i tifosi del Liverpool cominciano a muoversi in direzione di quelli della Juve. “Ci saranno le reti” mi dico, “Arriverà la polizia” spero, “Si fermeranno” prego. Si fermano. Ma è un attimo. Come una molla gli inglesi si ritraggono e poi ripartono, ma questa volta non si fermano, continuano ad avanzare. La massa dei tifosi bianconeri si sposta verso le tribune, forse stanno uscendo. Da qui vedo che molti si riversano sul campo di gioco. Forse gli addetti hanno aperto i cancelli e per evitare problemi li fanno entrare sulla pista. Il settore è quasi vuoto. E quelli del Liverpool si sono fermati; lentamente ritornano verso i loro settori e cantano. Cerchiamo di capire, ma da qui è difficile.

    L’altoparlante dello stadio non da comunicazioni. Speriamo che non rimandino la partita. Sarebbe il colmo essere venuti fin qua per non vederla. Passano i minuti. Il settore degli juventini rimane vuoto, i suoi occupanti sono tutti in campo. Mi sembra di sentire delle sirene. Stanno arrivando i rinforzi per la polizia, oppure sono ambulanze, forse qualcuno si è fatto male.

    Intanto il tempo trascorre, adesso troppo in fretta. Ma insomma, cosa fanno, perché non dicono nulla? L’altoparlante dello stadio comincia a emettere suoni, ma la confusione è tanta e i messaggi arrivano frammentati. Riusciamo a capire che i capitani delle squadre leggeranno un comunicato. Si sente una voce timida, è Scirea ci dicono: “La partita verrà giocata per consentire alle forze dell’ordine di organizzare l’evacuazione del terreno. State calmi. Non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi” . Poi un’altra comunicazione, questa volta in inglese. Questi è Neal, il capitano del Liverpool. Non riusciamo a capire. Ma la partita è valida?

    Intanto il campo è sempre pieno di persone, a cui si vanno aggiungendo squadre di poliziotti o soldati che si dispongono attorno al perimetro del terreno. Se possibile, il trambusto aumenta quando entrano in campo alcuni calciatori della Juve circondati da un gruppo sempre più folto di persone. Arrivano quasi sotto la nostra curva. Nella calca mi sembra di riconoscere Cabrini, ma non ne sono certo. E’ tardi, l’orario di inizio è trascorso. Scirea ha detto: “Giochiamo per voi”, spero che non ci abbiano ripensato. Impercettibilmente il campo si svuota, tutte le persone che c’erano prima sono scomparse. Forse i tifosi della Juve scesi sul terreno di gioco sono stati smistati in altri settori dello stadio. Abbiamo notato che molti spettatori dei distinti alla nostra destra sono andati via. Forse si sono impauriti per il trambusto. Vediamo un varco nella rete divisoria fra i settori e molti tifosi della curva ci passano attraverso per spostarsi nei distinti. Lo facciamo anche noi, vogliamo vedere un po’ meglio. Non c’è nessuno ad impedicerlo.

    Heysel_003Sono già passate le nove, quando inizia la partita. I minuti prima lentissimi adesso passano troppo velocemente. Le squadre giocano abbastanza bene, sembra tutto normale. Voglio pensare che sia tutto normale. Noi facciamo qualche azione buona, ma anche loro non scherzano. Sono forti, lo sapevamo. Tacconi si supera in più di una occasione. Finisce il primo tempo sullo 0 – 0. Facciamo qualche commento, ognuno ha la sua ricetta per vincere, ma non sembriamo molto convinti. Un’ombra ci opprime. Entrano le squadre per la seconda parte della gara. Nella Juve non è cambiato nessuno. Passano una decina di minuti, poi un lampo. Boniek parte al galoppo. Sale l’incitamento, che diventa un boato quando i difensori del Liverpool lo stendono nei pressi dell’area. Rigore! “Ma, c’era?” . L’arbitro dice di si. Tira Platini. Proprio sotto la curva degli incidenti. Contrariamente al solito, questa volta lo guardo tirare anche se attraverso mirino della macchina fotografica. Gol! Stiamo vincendo. “Manca molto?”. Adesso il Liverpool non ci sta a perdere e ci comprime nella nostra metà del campo. Il cuore sta facendo gli straordinari. Tacconi para anche lo mosche. E’ quasi finita. Una sostituzione per la Juve. Esce Briaschi, entra Prandelli; ci copriamo, il Trap ha aspettato più del solito a farlo. Manca pochissimo. Un’altra sostituzione. Esce Rossi ed entra Vignola. E’ finita! Abbiamo vinto.

    Ci abbracciamo. Gino piange, ma non vuole farsi vedere. La curva alla nostra sinistra, dove eravamo prima è una marea bianconera. Aspettiamo la premiazione, vogliamo la coppa più desiderata. Il tempo passa ma non vediamo nulla. Ce la siamo persa? Altri minuti, non si vede nessuno. Ma che fanno? Hanno cambiato il rituale? No, ecco i giocatori che arrivano. Non ci sono tutti. C’è Platini che corre sotto la curva. Foto. Passano Tardelli e Boniek proprio davanti a noi. Altra foto. Questo coi baffi chi è? Favero. Altra foto. Non vedo altri juventini. Ma dov’è la coppa?

    Non c’è più nessuno in campo, esclusi poliziotti ed addetti. Lo stadio si sta svuotando, per stasera non fanno altro. Decidiamo di uscire. Torniamo al pullmann. Occhio alle maglie rosse. Dopo quello che è successo, non si sa mai.

    Ci rimettiamo in viaggio. Appena fuori Bruxelles, ci fermiamo in un posto di ristoro. E’ chiuso. “Ma come? Da noi sono sempre aperti o quasi.”. Proseguiamo. Abbiamo fame. Un altro autogrill. Come non detto. Appena vede arrivare i pullmann, qualcuno pensa bene di chiuderlo. Ci teniamo la fame, ci arrangiamo per i bisogni fisiologici e ripartiamo. Viaggiamo tutta la notte e arriviamo al confine svizzero alle prime luci dell’alba. Finalmente, un autogrill aperto. Ci fermiamo e assaltiamo letteralmente il bar. Ci guardano in modo strano. Una cameriera piange. Che succede? Io cerco l’espositore dei quotidiani. Voglio comprare una copia della Gazzetta per conservarla come ricordo. Non la trovo. Ci sono solo giornali in lingua tedesca. Ne compro uno. Ho una conoscenza scolastica del tedesco, ma riconosco il vocabolo che campeggia in prima pagina vicino ad un numero troppo alto per essere vero, ‘Toten’; e le immagini che vedo mi scavano un solco profondo nella mente e nel cuore. Per sempre.

    Siamo a casa nel primo pomeriggio. Un conoscente mi offre un passaggio dal terminal degli autobus fino a casa mia. Mi dice che in paese mi davano per disperso. Risultavo capogruppo nell’elenco dei tifosi partiti da qui. Quelli che sono venuti alla partita in aereo sono tornati prima di noi, ed hanno raccontato di aver sentito il mio nome chiamato più volte dallo speaker dello stadio. Mi sembra incredibile, io non ho sentito nulla. Mi dice anche che la mia ragazza ha telefonato al Ministero degli Esteri. Non le hanno saputo dare notizie. Arrivo a casa. Mia madre mi abbraccia e piange. Mio padre non mi dice nulla. Mi guarda e parte per andare al lavoro. Anni dopo mi dirà di non aver provato una paura simile nemmeno ai tempi della guerra.

    Non ho mai voluto guardare la registrazione di quella serata.

  • Silver Flag

    Silver Flag

    silver-flag

    La locandina della manifestazione Castell’Arquato – Vernasca – Silver Flag annuncia:

    “…manifestazione di regolarità non competitiva con rilevamenti di passaggio…”.

    Un po’ riduttivo riassumere in questo modo tutta la passione, il lavoro, i sacrifici che i proprietari spendono per queste attempate ma affascinanti regine della strada.