Categoria: Paesaggio

  • Luoghi magici

    Luoghi magici

    badignana_02Esistono luoghi che abbiamo frequentato mille volte ma in cui, per un motivo o per un altro, amiamo ritornare più volte. Io li chiamo i luoghi magici. D’accordo, è un appellativo forse esagerato, ma in questo momento non mi viene in mente una definizione migliore.

    Ecco, per me la Piana di Badignana è uno di questi luoghi magici. Ci sono già stato in tantissime occasioni: in inverno con la neve che arrivava all’inguine, in primavera a guardare estasiato la moltitudine infinita di crochi che bucavano l’ultima neve, in estate a godere del trionfo verde dei faggi, di notte a fotografare le stelle. Ovviamente ci sono stato anche in autunno, perché i boschi, se il calore estivo è stato clemente,  sono colorati da far male al cuore.

    Ci sono stato anche pochi giorni fa. E’ un periodo “ibrido”, la siccità estiva prima e poi i primi venti gelidi che scendono inclementi dai crinali hanno totalmente spogliato le piante. Addio foliage, ma non ci speravo nemmeno, ad essere sincero.

    Ma la sensazione di magia rimane. Sarà perché l’assenza del chiassoso turismo della bella stagione restituisce al luogo il silenzio millenario, rotto solo dallo scrosciare dei ruscelli che scendono a valle, dal canto dei pochi uccellini temerari, dal sussurrare sommesso del vento che mi informa che dal crinale arrivano nuvole cariche d’acqua o della prima neve. Sarà perché qui ho visto talmente tanta bellezza che l’effetto si prolunga nel tempo.

    Sarà perché è un luogo magico.

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  • Ritorno a Braies

    Ritorno a Braies

    Prima neve su Braies

    Non è la prima volta che vado sulle rive del Lago di Braies. Ci sono già stato in diversi periodi estivi, ho già provato a fare alcune foto ma, malgrado il bel pezzettino di strada che devo fare per raggiungerlo, ci torno non spesso ma volentieri.

    E’ però la prima volta che lo visito in questo momento dell’Autunno e posso dire che ne è valsa la pena. Già arrivare e trovare parcheggio nelle immediate vicinanze del lago è una conquista non indifferente. Vedere le sue rive, poi, popolate di pochissimi turisti (altissima percentuale di fotografi, fra l’altro) al contrario di quanto accade nella “bella” stagione è consolante; non fraintendetemi, non sono misantropo, non tanto almeno. E’ che avere l’orizzonte scarsamente popolato è decisamente vantaggioso, soprattutto in fase di post produzione. In più i giorni precedenti, quella che in pianura era stata acqua, qui era diventata neve, contribuendo a spruzzare cime montuose ed alberi come quelli di un presepe ben fatto. Infine le loro maestà, i larici, si presentavano nella loro veste più spettacolare, creando un favoloso contrasto con il verde profondo  dei pini.

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    Tutto bene, quindi? Quasi. Il cielo è stato sempre un poco velato dalle nubi, concedendo rarissimi sprazzi di sole e costringendomi ad operare scelte compositive obbligate e cioè la deliberata esclusione totale o quasi del cielo stesso nelle fotografie. Lo so, non è la prima volta che questa situazione mi capita; anzi, direi che quando si organizza una trasferta impegnativa, è quasi la regola. Dispiace solo un pochino.

    Ho fatto tutto con un unico obiettivo, il fedele tuttofare paesaggistico Nikkor 16-35 f/4, perché volevo girare leggero, perché avevo anche il cane al seguito e perché, sono sincero, non mi fidavo molto delle previsioni meteo.

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    Comunque, bene o male, è andata. Tra l’altro, in uno dei giorni di permanenza in Sud Tirolo, ho avuto modo anche di visitare un posticino niente male, che merita sicuramente una replica: la zona della Malga di Fane, che si raggiunge con un sentiero denominato “La via del latte” o per una strada carrabile talmente ripida che mette a durissima prova anche auto attrezzate alla bisogna. Sia il sentiero che l’insediamento sono decisamente spettacolari. Purtroppo il meteo era ancora peggiore del giorno prima a Braies e quindi ho portato a casa solo robetta.

    Amen, ci si torna sicuramente.

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  • Per chi scatta l’otturatore?

    Per chi scatta l’otturatore?

    Braies' boat

    E’ una cosa che ogni tanto capita di chiedermi.

    E’ normale che un fotografo professionista scatti principalmente per la sua clientela, sia questa commerciale o privata; così come ci sta che, nell’era di Facebook-Twitter-Instagram-Snapchat-Whatsapp, tantissime persone scattino per apparire, per “esserci” ed ottenere approvazione (likes, cuoricini, eccetera) dai propri contatti social.

    E il fotografo dilettante come me?

    Sono giunto alla conclusione che, se non sono foto destinate a familiari/amici o che, comunque, registrino eventi importanti di cui tenere memoria, io scatto essenzialmente per me stesso, forse per tenere una traccia temporale di eventuali miglioramenti e, magari, darmi qualche pacca sulla spalla da solo. Tanto è vero che questo blog non ha velleità di prima pagina Google e nemmeno inserzioni pubblicitarie; è solo un comodo diario elettronico su cui registrare immagini e pensieri. E ogni tanto condivido le sue pagine sui social per rendere partecipi gli amici del mio tribolare.

    Questo lungo preambolo per arrivare a cosa? Nulla di particolare. Solo che è la seconda volta che mi capita di condividere una foto scattata (e scartata) parecchio tempo fa ed è la seconda volta che ottengo consensi insperati e superiori al solito (stiamo sempre parlando di numeri comodamente gestibili dagli arti umani).

    Da tutto questo sproloquio, ne consegue che (sempre secondo il mio opinabilissimo parere): a) non sempre ciò che è gradito a noi può piacere ad altre persone; e viceversa b) mai, mai, mai cestinare una foto che nell’immediato non ci soddisfa pienamente; conviene lasciarla sul disco fisso e andarla a ripescare tempo dopo, anche parecchio, perché potremmo ricavarne qualche sorpresina c) se una foto “ripescata” continua a non piacerci, significa che faceva schifo veramente.

  • Sciopero dei trasporti

    Sciopero dei trasporti

    Ho voluto provare. Non ero convintissimo dei sistemi mirrorless (almeno per il tipo di fotografia che prediligo) ma mi sembrava stupido non provarli.

    Ho colto la palla al balzo (alcuni giorni in montagna durante le ferie estive) e sono partito con una Olympus OM-D E-M10 Mark II (Micro 4/3) e un solo obiettivo l’Olympus M. Zuiko 17mm f/2.8 Pancake (Micro 4/3) che, rapportato al sistema 35mm corrisponde grosso modo ad un 34mm di focale. L’intenzione era quella di arrampicarmi sui sentieri senza la zavorra di una fotocamera da oltre un chilo e l’uno o più obiettivi (di peso equivalente) che porto solitamente con me con la speranza di riuscire ugualmente a portare a casa qualche scatto passabile.

    Sugli scatti passabili lasciamo perdere, tanto è solo colpa mia. Ma sul sistema mirrorless le sensazioni sono positive. Tenuto conto della mia totale inesperienza sull’utilizzo di questo sistema, mi sono piaciute sicuramente alcune prerogative: prima di tutto – anche se è scontato – il peso; non mi è sembrato vero arrivare ai rifugi senza pestare sulla lingua, è veramente esaltante sapere di avere nello zaino una macchina fotografica ad obiettivi intercambiabili senza che questo significhi portarsi a spasso qualche chilogrammo di elettronica. Altro aspetto interessate è, a mio giudizio, la buona profondità di campo ottenibile anche a diaframmi relativamente “aperti”, tipo f/5.6 o f/8; per contro trovo interessante lo sfocato ottenibile a tutta apertura (pur con i limiti dell’obiettivo utilizzato), ma qui ci devo lavorare bene perché è molto particolare, secondo me. La qualità dei files grezzi (i .raw della Olympus si chiamano .orf) credo sia molto buona anche se temo che sia necessario usare il software proprietario Olympus di sviluppo dei .raw (al momento Olympus Viewer 3)  per una prima lavorazione e poi esportare un file .tiff per le successive elaborazioni in Lightroom o Photoshop; ma anche qui invoco il beneficio del dubbio e i giudizi di chi ne sa enormemente più di me.

    Insomma, alla fine ho ceduto. Ne sono felice, e mi riprometto di “fare le pulci” seriamente a questo sistema fotografico. Se non altro, sempre in riferimento al peso, al momento sono felicissimo di poter portare sempre con me una fotocamera di buona qualità, per far fronte alle “emergenze” fotografiche.

    In futuro cambierò l’attuale attrezzatura DSLR? Non credo proprio (volevo scrivere “manco morto” ma era decisamente fuori luogo), almeno nell’immediato. Piuttosto mi accomoderò sulla riva del fiume (c’è una ressa, qui…) ed aspetterò sviluppi da mamma Nikon, un po’ per partito preso ed un po’ perché, malgrado il sistema micro 4:3 sia molto evoluto, la disponibilità e la varietà (mi sparate se dico anche la qualità?) di obiettivi del sistema 35mm è tutt’ora ineguagliata. Inoltre: non ho le mani come badili, ma mi trovo a disagio con una fotocamera ammirevolmente dotata di numerosi controlli fisici sul corpo ma che faccio fatica a settare “alla cieca”; se dovesse uscire una mirrorless con il corpo macchina di una full frame, beh, sarò il primo ad interessarmene.  Senza contare che passare da un sistema fotografico ad un altro, comporta indubbiamente un “bagno di sangue” che la mia qualifica di amatore non giustifica.

     

  • Il vento nel grano

    Il vento nel grano

    il-vento-nel-grano

    Meglio che mi tolga subito lo sfizio: amo questo scatto, nella sua scarna semplicità la ritengo una delle foto migliori che io abbia mai scattato fino ad ora. Opinione assolutamente personale eh, ci mancherebbe altro, suscettibile di critiche, anche spietate.

    E non è stato uno scatto problematico, “si è fatto da solo”. C’è stato solo un problema… Il problema non è stato decidere che foto scattare, quella ce l’avevo già in testa ed ho solo dovuto cercare il punto più adatto per farlo. Il problema non è stato valutare la differenza di gamma dinamica nelle varie parti dell’immagine (per quello c’è anche San Sensore da Sony che veglia premuroso) malgrado il non utilizzo di filtri di compensazione della luminosità. Il problema non è stato nemmeno cercare di ottenere la foto sufficientemente nitida evitando il micromosso nonostante  lo scatto in manuale, senza treppiede.

    Il problema maggiore è stato non farsi pescare dal contadino mentre gli calpestavo il grano (il meno possibile, giuro: ho proceduto in punta di piedi che manco Nureyev…) per entrare in una delle chiazze create dal vento e dalle piogge.

  • Fresco

    Fresco

    fresco

    Un oretta di tornanti, scorci di paesaggio mai dimenticati, il piacere della riscoperta, il benessere fisico e mentale che questi luoghi regalano.

    Con la scusa di una foto, del test di alcuni obiettivi prestati da un’amico, in un colpo solo si esorcizzano uno dei primi giorni afosi della nuova stagione e la pigrizia generata dai chilometri da fare.

     

  • Peccato originale

    Peccato originale

    frassinara

    Abbandonare la terra, le nostre radici, non ci porterà a nulla di buono.

    Sta già succedendo.

  • Dolce sera

    Dolce sera

     

    Ci sono migliaia di luoghi più belli, luoghi lontani, posti che regalano immagini di poesia assoluta.

    Ma ci sono momenti, attimi, giusto il tempo di uno scatto, in cui i “miei” luoghi regalano un senso di pace, di tranquillità, di dolcezza che non baratterei con nient’altro.

  • Progetti e programmazione

    Progetti e programmazione

    attesa

    Progetto, programmazione, studio, tecnica e mille altri fattori concorrono (o dovrebbero farlo) alla realizzazione di una foto passabile.

    Ci sarebbe anche un altro fattore, a dire la verità; una variabile imprescindibile per ottenere scatti decenti: il fattore “c”, dove “c” sta per (paura, eh?) “cane”.

    E’ solo “colpa” sua se, per accontentarlo con il giretto mattutino, sono in piedi ad orari che gli altri cristiani dedicano generalmente a cambiare lato del letto; e a questi orari sovente la natura si diverte a mostrare meraviglie.

    Io ho un solo merito: quello di girare con il muletto, la fotocamera da battaglia con l’obiettivo tuttofare, in auto.

    Perché, giustamente, non si può mai sapere.

  • Mattina d’inverno

    Mattina d’inverno

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    Quando si dice “Congelare l’attimo”…

    A -5° l’attimo si congela che è una favola, nulla da dire.

  • Logica e nebbia

    Logica e nebbia

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    Lo devo ammettere: non mi sono per nulla chiare le logiche di gradimento di una fotografia da parte degli utenti dei social network.

    Su questo scatto di qualche giorno fa ad uno degli ultimi ponti in barche rimasti in Italia, quello di Torre D’Oglio, io ho una mia opinione personale.

    Che però non coincide con quella di altre 9000 persone che l’hanno vista.

    Devo aggiornare i miei parametri.

  • Ricchezza

    Ricchezza

     

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    Un padre ricco, volendo che suo figlio sapesse che significa essere povero, gli fece passare una giornata con una famiglia di contadini.
    Il bambino passò tre giorni e tre notti nei campi.
    Di ritorno in città, ancora in macchina, il padre gli chiese:
    “Che mi dici della tua esperienza?”.
    “Bene – rispose il bambino.”.
    “Hai appreso qualcosa?” insistette il padre.
    “Beh, ho appreso che noi abbiamo un cane e loro ne hanno quattro.
    Che abbiamo una piscina con acqua trattata, che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume, con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.
    Che abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.
    Che il nostro giardino arriva fino al muro. Il loro, fino all’orizzonte.
    Che noi compriamo il nostro cibo; loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.
    Che noi ascoltiamo CD… Loro ascoltano una sinfonia continua di uccelli, grilli e altri animali… Tutto ciò, qualche volta, accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.
    Che noi utilizziamo il microonde. Ciò che cucinano loro, ha il sapore del fuoco lento
    Che noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme. Loro vivono con le porte aperte, protetti dall’amicizia dei loro vicini.
    Che noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre e alle loro famiglie.”.
    Il padre rimase molto impressionato dai sentimenti del figlio. Alla fine il figlio concluse: “Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri!”.