Tag: NikonF6

  • Un po’ meglio, ma…

    Un po’ meglio, ma…

    Lo scorso ottobre, in chiusura del testo “Gas Station” scrivevo così:

    “Edit: sono soddisfatto del risultato? Ni. Mi aspettavo qualcosa di diverso dalla resa della pellicola (che, fra l’altro, ha un tipo di sviluppo un po’ particolare).

    E quindi? E quindi ho trovato, con una buona dose di … fortuna, un paio di rullini Cinestill 800. Ho intenzione di rifare tutto: foto, notti all’addiaccio, incontri più o meno graditi, controlli, eccetera. Se fortuna e meteo mi aiutano, vi tengo aggiornati. Ad maiora.”

    E’ passato qualche mese, ho avuto modo di usare uno di quei famosi rullini Cinestill 800T di cui scrivevo, il meteo non ha poi collaborato molto (poca nebbia, pochissima pioggia, niente neve), io sono ancora insoddisfatto ed il motivo è presto detto: la scansione dei negativi delle foto scattate sembra la pubblicità del Grana Padano.

    Ora: va bene l’emulsione sensibile con tutto quello che questo comporta, va bene il tempi relativamente lunghi di posa (in realtà non lunghissimi), va bene tutto ma la scansione non manipolata veramente è inguardabile.

    Ed a questo punto la domanda sorge spontanea: come caspita fanno gli ammmericani che mettono le foto delle loro bellissime stazioni di servizio, delle tavole calde solitarie su routes sperdute, eccetera, che dichiarano di usare Cinestill 800 ma le foto sono lisce come il vetro? Io una mezza idea me la sono fatta: le foto sono elaborate alla morte in camera chiara (Lightroom o Photoshop) perché altrimenti non si spiega. Va bene che io sono scarso, ma non così scarso.

    E la prova del nove l’ho avuta mettendo mano alle scansioni con Lightroom: via il rumore di luminanza come se non ci fosse un domani (la crominanza tutto sommato tiene) e qualcosa di guardabile si ottiene. Ripeto: non mi piace assolutamente il risultato e sapere quello che ho combinato in camera chiara mi lascia comunque un senso di insoddisfazione e, di conseguenza, dovrò percorrere strade alternative. Perché ormai è diventata una questione di principio.

    Di nuovo: ad maiora.

  • Gas station

    Gas station

    Le stazioni di servizio come isole di luce nella notte.

    Probabilmente si tratta di un collegamento forzato, sicuramente irriverente, ma l’idea del mini progetto “Gas station” mi è balzata in mente osservando una riproduzione del famoso dipinto del pittore statunitense Edward Hopper “I nottambuli”, con la sua atmosfera di buia quiete notturna, in cui la vetrina della tavola calda appare come una astronave sospesa nell’oscurità ed ospitale per gli avventori, presumibilmente ognuno con la propria storia e le proprie peculiarità.

    Ecco, in qualche modo, considero le stazioni di servizio aperte in orario post serale una sorta di isola di approdo per i viaggiatori della notte, una piattaforma salvifica, rigenerante, per coloro che dopo un lungo o breve viaggio che sia, hanno necessità di rifornire il proprio mezzo di trasporto e se stessi (ammesso che il bar sia aperto). Dalle nostre parti, se si escludono gli autogrill autostradali, è relativamente recente la disponibilità notturna delle stazioni di servizio. E’ decisamente più radicata oltreoceano l’abitudine di offrire un servizio continuo agli utenti della strada. Tanto è vero che, per dirla tutta, la mia idea di fotografare le “gas station” di notte è decisamente poco originale, perché c’è una letteratura fotografica sterminata all’estero, di questo tipo di scatti, soprattutto negli Stati Uniti e, vedo, in alcuni paesi dell’est europeo. Però vale sempre il solito discorso: fino a che una foto non l’ho fatta io, non esiste o, meglio, non esiste fatta da me.

    Per fare pratica e per facilitarmi un poco la conoscenza delle problematiche di scatto, ho fatto le prime foto utilizzando la fotocamera digitale, la Nikon Z7 in abbinamento con il Nikkor Z 14-24 f/2,8, che, avendo il visore che riproduce immediatamente il risultato ottenuto, mi ha dato indicazioni sulle opzioni di scatto disponibili e più efficaci a mio giudizio. Ma l’idea “completa” era di portare avanti questo progettino con la fotocamera analogica, di fare le foto utilizzando la pellicola, anche per ricreare una sorta di atmosfera pittorica vagamente (molto vagamente) somigliante a quella del bellissimo dipinto di Hopper.

    Ho pensato fosse necessaria una pellicola relativamente sensibile, che fosse in grado di registrare l’atmosfera notturna senza tempi di scatto biblici ma, allo stesso tempo, non avesse troppa grana, caratteristica delle foto analogiche che mi piace ma senza estremismi. Ho trovato fra le pellicole da 35 mm disponibili, una pellicola colore Iso 500 marcata Silbersalz35 500T che non so da dove venga e che, sospetto, sia comunque un prodotto a base Kodak. L’ho montata sulla Nikon F6 ed ho utilizzato il “vecchio” zoom Nikkor 14-24 f/2,8 G che, seppur essendo stato scalzato dal suo trono dal corrispondente 14-24 Z per le mirrorless, è ancora in grado di fare la sua (scusate) porca figura e tutt’ora capace di distanziare parecchie lenti prime blasonate; non ho fotografato ponendo l’obiettivo in piano volutamente, per esasperare la distorsione prospettica. Ovviamente uso obbligatorio del treppiede e del cavo di scatto per evitare le vibrazioni letali con i tempi di scatto necessari, aggiungendo, come ulteriore prudenza, l’alzo preventivo dello specchio.

    Le problematiche intrinseche a questo tipo di scatti sono molteplici: innanzi tutto quelle tecniche, che ho cercato di risolvere con la metodologia di scatto appena descritta. Non l’ho scritto ma credo che sia facilmente intuibile dalle foto: la differenza di luminosità fra le strutture (pensilina, travi, locali del distributore) e le luci spesso molto brillanti che illuminano l’area è notevole e si tratta di trovare una sorta di compromesso di esposizione, fermo restando che, nelle mie intenzioni, c’era la volontà di riprodurre l’atmosfera notturna il più buia possibile in contrasto con l’isola di luce della stazione di servizio, la famosa  astronave sospesa nell’oscurità di cui vi dicevo; a tale scopo è essenziale evitare lo scatto quando sulla strada prospiciente il distributore stanno transitando delle auto, i cui fanali sono un elemento di disturbo nell’immagine, senza contare che possono facilmente ingannare il lavoro dell’esposimetro.

    Come ho conciliato la situazione meteo con le foto? In un primo tempo ho aspettato le serate limpide, magari con un filo di brezza che “pulisse” l’aria da umidità e foschia, con l’intento di ottenere la migliore nitidezza possibile. Ma poi ho pensato che una bella atmosfera nebbiosa avrebbe potuto contribuire ad isolare ulteriormente la stazione di servizio dall’ambiente circostante e, magari, creare quella sorta di leggero alone luminoso attorno alle luci della stessa. Intanto che scrivo sto valutando anche di fare qualche scatto in una serata di pioggia o, e qui la vedo difficile, durante e dopo una nevicata. Al momento ho la frenesia di pubblicare l’articolo e le foto e non ho potuto assecondare questo mio desiderio ma prometto che, se ne avrò la possibilità, aggiornerò l’articolo con le foto “nebbia, pioggia e neve”.

    Ci sono poi alcuni elementi ambientali che occorre tenere assolutamente in considerazione: i proprietari della stazione di servizio, i clienti, gli autotrasportatori che stanno pernottando nell’area e che temono per il loro carico, le Forze dell’Ordine; durante la serie di scatti, nel corso delle diverse uscite, mi è capitato più di una volta di dover spiegare al proprietario del distributore cosa stavo facendo, servendomi del cellulare per mostrargli il mio blog o la pagina Instagram personale (entrambi con la mia foto) per assicurarlo che non avevo cattive intenzioni; stesso discorso con Carabinieri e Polizia, che stavano giustamente facendo il loro lavoro ma che ho brigato non poco a convincere; discorso a parte merita l’automobilista con compagna evidentemente non istituzionale a bordo che mi ha chiesto perché stavo filmando (!): lì è stata dura, soprattutto spiegargli che non mi interessava affatto registrare immagini con lui presente e che, anzi, stavo solo aspettando che se ne andasse per fotografare la stazione di servizio completamente vuota, anche perché non desideravo affatto riprodurre nelle mie immagini auto la cui targa fosse identificabile, per ovvie ragioni di privacy. 

    Una raccomandazione mi preme molto fare: se vi venisse la malsana idea di provare a scattare questo tipo di foto, usate estrema prudenza; è notte, c’è poca visibilità, vi trovate in un piazzale dove, frequentemente, le auto entrano senza troppe precauzioni oltretutto non aspettandosi che ci sia un disgraziato in piedi nella semioscurità a fotografare il distributore. Fatevi vedere, indossate i giubbotti  con bande rifrangenti che avete in dotazione nell’auto quando dovete cambiare uno pneumatico, con un occhio guardate nel mirino della fotocamera e con l’altro la strada. E un po’ di attenzione anche agli incontri che potreste fare: purtroppo la strada di notte non è il luogo più sicuro che ci sia; se avete un amico fidato (e magari anche grosso), portatelo con voi. Io mi sono portato il cane: è un maledetto bonaccione ma, essendo nero e molto peloso, offre una discreta presenza.

    Meglio un mediocre fotografo vivo che un artista morto.

    Edit: sono soddisfatto del risultato? Ni. Mi aspettavo qualcosa di diverso dalla resa della pellicola (che, fra l’altro, ha un tipo di sviluppo un po’ particolare).

    E quindi? E quindi ho trovato, con una buona dose di … fortuna, un paio di rullini Cinestill 800. Ho intenzione di rifare tutto: foto, notti all’addiaccio, incontri più o meno graditi, controlli, eccetera. Se fortuna e meteo mi aiutano, vi tengo aggiornati. Ad maiora.

     

    GAS STATION

    Gas stations as islands of light in the night.

    This is probably a forced connection, certainly irreverent, but the idea of the ‘Gas station’ mini-project leapt into my mind while observing a reproduction of the American painter Edward Hopper’s famous painting ‘The Night Walkers’, with its atmosphere of dark nocturnal stillness, in which the diner’s window appears as a spaceship suspended in the darkness and hospitable to the patrons, presumably each with their own history and peculiarities.

    Here, in a way, I consider petrol stations open after dark to be a sort of landing island for night travellers, a salvific, regenerating platform for those who, after a long or short journey, need to refuel their means of transport and themselves (assuming the coffee shop is open). In our part of the world, if we exclude motorway service stations, it is relatively recent that service stations are available at night. The habit of offering a continuous service to road users is much more deeply rooted overseas. So much so that, to tell the truth, my idea of photographing ‘gas stations’ at night is decidedly unoriginal, because there is an endless photographic literature abroad of this type of shot, especially in the United States and, I see, in some Eastern European countries. But the usual argument always applies: until a photo is taken by me, it does not exist, or rather, it does not exist taken by me.

    To practise and to make it a little easier for me to understand the problems of taking pictures, I took the first photos using my digital camera, the Nikon Z7 in combination with the Nikkor Z 14-24 f/2.8, which, having the viewer immediately reproduce the result obtained, gave me indications of the available and most effective shooting options in my opinion. But the ‘complete’ idea was to pursue this little project with the analogue camera, to take photos using film, also to recreate a sort of pictorial atmosphere vaguely (very vaguely) resembling that of Hopper’s beautiful painting.

    I thought a relatively sensitive film was needed, one that could record the night-time atmosphere without biblical shutter speeds but, at the same time, did not have too much grain, a characteristic of analogue photos that I like but without extremes. I found among the 35mm films available, an Iso 500 colour film marked Silbersalz35 500T which I don’t know where it comes from and which, I suspect, is a Kodak-based product anyway. I mounted it on the Nikon F6 and used the ‘old’ Nikkor 14-24 f/2.8 G zoom, which, even though it has been ousted from its throne by the corresponding 14-24 Z for mirrorless cameras, is still able to make its good impression and still outperforms many famous prime lenses; I didn’t shoot with the lens flat, deliberately, to exasperate the perspective distortion. Obviously compulsory use of tripod and shutter cable to avoid lethal vibrations with the necessary shutter speed, adding, as an additional caution, the preventive mirror lift.

    The problems inherent in this type of shot are many: first of all the technical ones, which I tried to solve with the shooting methodology just described. I have not written it down but I think it is easily guessed from the photos: the difference in brightness between the structures (canopy, beams, petrol station premises) and the often very bright lights that illuminate the area is considerable, and it is a matter of finding a sort of exposure compromise, it being understood that, in my intentions, there was the will to reproduce the night atmosphere as dark as possible in contrast with the island of light of the petrol station, the famous spaceship suspended in the darkness of which I was telling you; for this purpose it is essential to avoid the shot when cars are passing on the road facing the petrol station, whose headlights are a disturbing element in the image, not to mention that they can easily fool the work of the exposure meter.

    How did I reconcile the weather situation with the photos? At first I waited for clear evenings, perhaps with a breeze to ‘clean’ the air of moisture and haze, with the intention of achieving the best possible sharpness. But then I thought that a nice foggy atmosphere might help to further isolate the station from its surroundings and perhaps create that sort of light halo around its lights. As I write this I am also considering taking some shots on a rainy evening or, and here I see it as difficult, during and after a snowfall. At the moment I am in a frenzy to publish the article and the photos and I have not been able to indulge in this desire of mine but I promise that I will update the article with the ‘fog, rain and snow’ photos if I get the chance.

    There are also some environmental elements that absolutely must be taken into account: the owners of the service station, the customers, the lorry drivers who are staying overnight in the area and who fear for their cargo, the police; during the series of shots, during the course of the different outings, it happened more than once that I had to explain to the owner of the service station what I was doing, using my mobile phone to show him my blog or my personal Instagram page (both with my photo) to assure him that I had no bad intentions; the same goes for the Carabinieri and the Police, who were rightly doing their job, but whom I had a hard job convincing; a separate discourse deserves the car driver with an evidently non-institutional companion on board who asked me why I was filming (! ): there it was hard, especially explaining to him that I was not at all interested in recording images with him present and that, on the contrary, I was just waiting for him to leave so that I could photograph the completely empty service station, also because I had no wish to reproduce in my images cars whose number plates were identifiable, for obvious privacy reasons.

    One recommendation I would like to make: if you get the unhealthy idea of trying to take this kind of photo, use extreme caution; it is night, there is little visibility, you are in a forecourt where cars frequently enter without too many precautions, and also not expecting there to be a wretch standing in the semi-darkness taking photos of the petrol station. Be seen, wear the jackets with reflective bands that you have in your car when you have to change a tyre, look into the camera viewfinder with one eye and the road with the other. And a bit of attention to any encounters you might have: unfortunately, the road at night is not the safest place there is; if you have a trusty (and possibly big) friend, bring him along. I brought my dog: he’s a bloody goody-goody but, being black and very furry, offers a decent presence.

    Better a mediocre photographer alive than a dead artist.

    Edit: am I satisfied with the result? Not completely. I expected something different from the rendering of the film (which, by the way, has a somewhat peculiar type of development).

    And so? And so I found, with a good dose of … luck, a couple of Cinestill 800 rolls of film. I’m going to do it all again: photos, nights in the cold, more or less welcome encounters, checks and so on. If luck and weather help me, I’ll keep you posted. Ad maiora.

  • Il film sulla Nikon F6 ed il Nikkor 500mm f/5.6 E PF ED VR

    Il film sulla Nikon F6 ed il Nikkor 500mm f/5.6 E PF ED VR

     

    Mi sono tolto lo sfizio di provare a fotografare l’avifauna con una macchina analogica, la Nikon F6, un obiettivo recentissimo, il Nikkor 500mm f/5.6 PF e la pellicola

    Abbinamento atemporale fra Nikon F6 e Nikkor 500mm f/5.6 E PF ED VR

    Era da un po’ di tempo che mi frullava in mente di (provare a) fotografare gli ospiti pennuti del mio giardino – cince, verdoni, pettirossi – con una fotocamera analogica, utilizzando una pellicola 35mm. Questo mini-progetto, meglio classificabile fra la voce “voglie”, aveva due problematiche di base, nel suo sviluppo: la disponibilità di una pellicola ad alti ISO che consentisse tempi di scatto consoni ai soggetti ed un obiettivo sufficientemente lungo per poter scattare alla distanza di sicurezza, ove per ‘distanza di sicurezza’ si intende quella stabilita dagli uccellini e non da me, ovviamente.

    La compatibilità fra fotocamera ed obiettivo

    Per quanto riguarda la pellicola non avevo molte opzioni: quella più veloce a colori disponibile nel frigorifero (perché, voi cosa lo usate a fare il frigorifero?) era la Kodak Portra 160, non avevo altro, nemmeno una misera 400. Naturalmente provvederò a procurarmi, appena possibile, una 400 o una 800 ISO ma, per il momento, questa avevo e questa ho montato sulla F6. Secondo problema: la massima lunghezza focale di cui dispongo come obiettivo pienamente compatibile con la F6 sarebbero i 200mm dello zoom  Nikkor 70-200mm f/2.8 G ED VR che, volendo, andrebbero anche bene ma solo se si fotografano animaletti a partire dal cane San Bernardo in su; per l’avifauna, invece, soprattutto per quella di minuscole dimensioni come i passeracei, serve qualcosina in più, per avere il quadro della foto riempito con qualcosa di meglio di un puntino di piume attorniato da una infinità di rami. Insomma, per cercare di isolare decentemente i soggetti e per renderli sufficientemente visibili, mi sarebbe servito un obiettivo più lungo, anche in considerazione del fatto che la Nikon F6 è un pieno formato, senza il fattore di moltiplicazione di un formato APS-C (la sigla DX nel caso di Nikon) e l’unico di cui dispongo è il 500mm PF, che uso abitualmente con la Nikon D500. A questo punto la domanda era: come si sarebbero sposati una fotocamera analogica del 2004 con un obiettivo ultra moderno prodotto dal 2018? Dal punto di vista dell’attacco, nessun problema: la baionetta di tipo F-mount della Nikon ha il pregio indiscutibile di essere la stessa dagli anni ’60 (del secolo scorso… mamma mia!); il dubbio era semmai sui numerosi contatti elettronici presenti sull’attacco del 500mm ma assenti sulla F6; ed infatti, un po’ leggendo notizie in rete e un po’ rompendo le scatole ad amici e conoscenti con la mia passione, ho capito che avrei potuto usare l’obiettivo esclusivamente alla massima apertura, a f/5.6 . Poco male, ad essere sinceri, tanto anche sulle digitali che uso normalmente con questo obiettivo, l’apertura è sempre a f/5.6, un po’ per ragioni di rapidità di scatto in condizioni di poca luce e un po’ perché questo passa il convento e già un obiettivo f/4 mi costringerebbe a vendere qualche parte anatomica a cui sono affezionato e quindi questo mi tengo.

    Preparazione del set

    Come detto, gli scatti di prova li avrei fatti nel mio giardino dove, a partire da novembre e fino a marzo di ogni anno metto delle mangiatoie con semi di vario tipo a disposizione degli uccellini, che hanno così la possibilità di svernare senza troppi problemi durante i difficili mesi freddi. Per opportunità le mangiatoie sono piazzate su un albero e vicino a delle siepi che fungono quindi anche da posatoi per scatti fotografici, seppure non di elevata “appetibilità” estetica. Normalmente faccio le foto rimanendo in casa, affacciato ad una finestra non vi dico di che stanza, ma posso permettermi di fare questo perché il fattore di moltiplicazione della D500 mi consente di rimanere ad una certa distanza. La F6, invece, avrebbe richiesto un maggiore avvicinamento ai soggetti e quindi ho tirato fuori la tenda mimetica e l’ho piazzata all’aperto, per essere più vicino. Mi sono abbigliato per una trasferta in Antartide, perché stare quasi completamente immobili all’aperto per un certo numero di ore non è semplicissimo in questo periodo, ho piazzato il treppiede nella tenda e mi sono messo all’opera.

    Tecnica di scatto con la F6

    Ho ricercato la massima semplicità operativa possibile per questi scatti, anche a causa dei suddetti limiti tecnici: dato che un rullino ha 36 pose, ho settato la fotocamera per lo scatto singolo, niente raffica come accade sulle digitali, pur essendo essa disponibile sulla Nikon F6; il dispositivo di riduzione vibrazioni presente sull’obiettivo non ho nemmeno provato ad inserirlo, nel timore di provocare esplosioni; ho, come detto, messo la macchina sul treppiede con testa gimbal ed ho pregato di avere un poco di fortuna. Non potendo effettuare post produzione sulle foto in quanto non sviluppo personalmente i rullini ma mi affido ad un laboratorio professionale, ho automaticamente depennato la possibilità di operare crop o aggiustamento di luci, ombre e nitidezza ed ho cercato conseguentemente di eseguire le foto quando i soggetti erano in luce e quando lo sfondo non era reso troppo complesso da rami od altri elementi di disturbo. Quello che ho ottenuto potete vederlo. La soddisfazione che ho provato nel cimentarmi in questa che, per noi drogati digitali, è comunque una sfida, non riesco a quantificarla.