Tag: D850

  • I tesori della Val Roseg – Il Bosco Delle Cince

    I tesori della Val Roseg – Il Bosco Delle Cince

    Domanda: “Si possono fare 325 km all’andata ed altrettanti al ritorno nel giro di 24 ore solo per andare a fotografare un pallina di piume di 13 grammi?” Risposta: “Sì. Se sono mesi che hai in testa il chiodo fisso di fotografare la cincia dal ciuffo, si può fare anche questo”.

    Viaggio in Val Roseg

    E l’ho fatto. Ho caricato armi e bagagli ed ho fatto un giretto fino alla bellissima Val Roseg, nel Cantone svizzero dei Grigioni, ai piedi del massiccio del Bernina. Perché fare tanta strada? In fin dei conti la cincia dal ciuffo si trova anche sulle montagne dell’arco alpino italiano e sull’Appennino Tosco-Emiliano. Sì, vero, ma occorre prima di tutto individuarla, poi essere fortunati ed infine sperare che si avvicini a tiro di obiettivo. Invece le cince della Val Roseg sono un discorso a parte: in questo luogo sono coccolate, con cibo e rispetto, dagli abitanti, dai turisti e dalle autorità ed hanno progressivamente sviluppato una fiducia nei confronti dell’uomo che ha pochi eguali altrove.

    La meraviglia del Bosco Delle Cince

    Mentre lo scrivo ancora faccio fatica a crederci: si cammina per pochi chilometri nel bosco innevato avendo fin da subito la sensazione di sentirsi osservati da mille occhi che dall’alto dei pini e dei larici ti scrutano con interesse; quando si sente il cinguettio di queste meraviglie ci si ferma, si posano a terra un po’ di semi e, nel giro di pochi minuti, comincia l’andirivieni frenetico e ipnotizzante di questi (e molti altri) passeriformi; si avvicinano sempre meno timorosi, a brevissima distanza, arrivando persino a posarsi su una mano che offre cibo (video) o (giuro, mi è successo!) sul cappello di lana del fotografo in azione. Tengono loro compagnia a tavola anche splendidi scoiattoli bruni che reclamano a gran voce la loro porzione.

    Le foto degli abitanti del Bosco Delle Cince

    Ecco, le foto. Avevo letto diversi articoli che spiegavano come in Val Roseg non sia strettamente necessario portare gli obiettivi “lunghi”: i soggetti delle foto si avvicinano talmente tanto a chi fotografa che già un 200mm basta ed avanza e che, anzi, a volte si riesce persino a rimanere più “corti”. E’ anche vero che una focale più lunga isola il soggetto dallo sfondo e quindi ho optato per questa configurazione: la Nikon D850 e la Nikon Z7 come corpi, entrambi full frame, rinunciando di fatto al fattore di moltiplicazione di una DX e privilegiando la grande disponibilità dati di un file da sensore FX; il Nikkor 70-200mm f/2.8 stabilizzato per avere un po’ di alternative sulla lunghezza focale e, soprattutto, per avere un’ampia apertura disponibile in caso di giornata nuvolosa o zone particolarmente ombreggiate del bosco; e infine il Nikkor 500mm f/5.6 stabilizzato perché è leggero, poco ingombrante, se deve isolare il soggetto lo fa veramente e, sinceramente, perché ormai non riesco ad uscire per sessioni di caccia fotografica senza infilarlo nello zaino, mi sentirei nudo (bruttissima immagine…).

    Attrezzatura utilizzata

    Ho portato con me, inoltre, tutte e quattro le batterie di riserva che possiedo, prevedendo un clima gelido che diminuisce di fatto le prestazioni delle stesse ed è stata una scelta indovinata perché, in cinque ore di scatti ed utilizzando entrambi i corpi macchina, con messe a fuoco ripetute e utilizzo saltuario dell’LCD, sono servite; tanto per dire: a mezzogiorno, malgrado il soleggiamento, la temperatura era -1° C, immaginate il prima e il dopo. Un’avvertenza, credo superflua, ma non si sa mai: abbiate sempre l’accortezza di conservare le batterie di riserva vicino al corpo, in una tasca interna dell’abbigliamento; se le tenete nello zaino, sono meno protette dal freddo e diminuisce di fatto la loro efficienza. Ho pensato di portare con me anche il treppiede ma, effetivamente, non l’ho nemmeno aperto: per seguire proficuamente le evoluzioni di cince e compagnia volante ero troppo impacciato; in pratica ho fotografato sempre a mano libera, producendo inevitabilmente più scatti mossi o sfocati, da cestinare, ma almeno ero abbastanza rapido a puntare l’obiettivo verso il punto in cui si era posato il soggetto di turno. In ogni caso vi consiglio di portarlo ugualmente: non si può mai sapere e non averlo potrebbe pregiudicare un’uscita fotografica.

    Completavano l’attrezzatura: zaino con spallacci comodi, minuteria varia figlia del “non si sa mai”, semi assortiti per gli uccellini (poi vi dico) e abbigliamento adatto a freddo e neve: in questo periodo in Val Roseg può fare freschino e non sono una rarità le nevicate improvvise; la notte precedente all’uscita, per esempio, la temperatura è scesa a -9° C ed è nevicato ma sono state registrate anche minime decisamente inferiori, perfino durante il giorno; passando poi parecchio tempo fermi, in attesa di fotografare, è veramente consigliabile vestirsi in modo adeguato e non lesinare sugli strati, ricordando che in fin dei conti la parte iniziale del sentiero si trova a 1750 metri di altitudine ed in fondo ad esso, dopo circa 7 chilometri, si arriva circa ai 2000 metri, quindi non esattamente clima tropicale. Comunque, se il meteo è almeno clemente, grosse problematiche fotografiche non ce ne sono: come ho già detto basta tenere presente che si possono avere nello stesso istante e nel medesimo luogo illuminazioni fortemente diverse dovute ai chiaroscuri del bosco o del sole che gioca a nascondino con le nuvole, se c’è neve (e in questo periodo ce n’è tanta) attenzione a non fare ingannare l’esposimetro e ai riflessi improvvisi ed indesiderati, se desiderate portare a casa qualche foto di paesaggio portatevi un obiettivo dedicato perchè ci sono innumerevoli scorci che vanno dal bello al meraviglioso.

    La “pappa” degli uccellini

    Dicevo semi assortiti: in realtà non ho utilizzato buste già pronte che si trovano nei negozi o anche in alcuni dispenser dislocati lungo il sentiero e mi sono affidato alla rassicurante cucina mantovana, con una miscela di sicuro effetto (lo so perché l’ho testata ripetutamente con le cince “cittadine” che frequentano il mio giardino): semi di girasole belli grossi e arachidi tritate (non salate, mi raccomando!), tutto biologico e conservato accuratamente. Il bello è che, oltre ad attirare le cince (cincia dal ciuffo, cincia bigia, cincia mora, cinciallegra) questo cibo ha sortito il suo effetto anche sul picchio muratore, sulla nocciolaia e persino sullo scoiattolo bruno. Verso ora di pranzo ero tentato di assaggiarlo anch’io…

    Solo un’immagine, prima di concludere: mentre stavo tornando all’auto, appena lasciato il posto in cui mi sono fermato più a lungo, nel silenzio del bosco ho sentito un frullo d’ali e qualcosa mi ha sfiorato la testa andando a posarsi sul ramo di un pino di fronte a me, con una serie di piccoli cinguettii. Era una cinciallegra, che evidentemente controllava se mi fosse rimasto qualcosa da offrire. E poi non venitemi a dire che questo posto non è magico.

  • Riserva naturale LIPU di Torrile e Trecasali

    Riserva naturale LIPU di Torrile e Trecasali

    La Riserva Naturale di Torrile e Trecasali è uno dei luoghi che frequento più volentieri quando ho voglia di fare qualche scatto naturalistico senza impazzire in pianificazione e senza sobbarcarmi chilometri su chilometri per raggiungerlo o, semplicemente, quando ho voglia di rilassarmi un poco nella piacevole quiete di questo luogo, in cui i soli rumori possono essere i richiami delle numerose specie animali che lo frequentano ed il passaggio del vento fra le fronde degli alberi (più qualche “mitragliata” di un fotografo che ci tiene a far sapere a tutti che ha la reflex più veloce del West…).

    La Riserva è nata nel 1988 grazie al lavoro ed alla indubbia passione di alcuni volontari della Lipu di Parma, che hanno gradatamente creato una zona umida naturale che si è unita alle preesistenti vasche di lavorazione di uno zuccherificio della zona e che ora ha una estensione totale che supera i 100 ettari. Nell’area della Riserva sono presenti, oltre al centro visitatori attrezzato anche per conferenze, 6 punti di osservazione, costituiti da capanni in legno attrezzati, raggiungibili attraverso comodi sentieri di terra battuta che si snodano fra la ricca vegetazione composta da alberi autoctoni, di molti dei quali si è persa ogni traccia nelle nostre campagne.

    In questo ecosistema palustre, nel corso degli anni, sono state osservate centinaia di specie di uccelli; sono presenti e nidificanti praticamente tutte le specie di ardeidi tipici del territorio italiano; numerose anche le specie di anatre, diversi rapaci e particolarmente preziosa è la presenza del Cavaliere d’Italia. Ovviamente numerosissimi i passeriformi, e altre presenze senza penne: mi è capitato di vedere scoiattoli, volpi ed altra “roba pelosa” solo intravista di sfuggita e assolutamente non riconosciuta.

    Come funziona? E’ semplice: si può accedere all’area della Riserva ed ai punti di osservazione semplicemente pagando l’ingresso giornaliero ma, meglio ancora sarebbe – come ho fatto io – sottoscrivere la tessera annuale LIPU che ha il doppio vantaggio di aiutare questa organizzazione nella sfida per preservare l’avifauna che popola o percorre il territorio italiano e consente nello stesso tempo di accedere liberamente alla aree protette per un intero anno, ovviamente nei giorni di apertura al pubblico che sono normalmente giovedì, sabato e domenica per la Riserva di Torrile e Trecasali; solo il Capanno Del Pettirosso rimane a pagamento anche per i soci, seppure per una cifra modesta ed il motivo è semplice: questo capanno di soli due posti è aperto unicamente nel periodo invernale e, dietro prenotazione telefonica o via mail, si ha la possibilità di osservare e, volendo, fotografare veramente da vicinissimo (sto parlando di pochi metri) picchi, cinciallegre, pettirossi, verdoni, cinciarelle ed altri uccellini meravigliosi che sono attirati dalle granaglie, dalle arachidi, dalle noci e dai semi di girasole messi dal personale volontario al momento della prenotazione in mangiatoie mimetizzate in tronchi di alberi caduti; inutile dire poi, che noci e nocciole richiamano anche alcuni scoiattoli golosi che, in cambio delle prelibatezze, sono disposti più o meno consapevolmente a farsi immortalare in tutta la loro eleganza e simpatia, magari anche mentre si dissetano nella grande vasca messa a disposizione per bagni ed abbeverata di tutti.

    Giusto ricordare che occorre osservare alcune semplici ma basilari regole di comportamento in questo ambiente: evitare di entrare in zone non aperte al pubblico; cercare di essere il più silenziosi possibile per non disturbare gli animali e, perché no, compromettersi la possibilità di vederli o fotografarli; mi vergogno a ricordarlo ma è meglio farlo: evitare assolutamente di sporcare questo luogo. E’ un santuario della vita ed è assolutamente indispensabile proteggerlo al meglio.

    Che attrezzatura fotografica serve? Dipende dalle possibilità individuali, ovviamente, ma una fotocamera che abbia una frequenza (“raffica”) di scatto importante ed una buona memoria temporanea (buffer) sarebbe benvenuta; non da’ fastidio se la suddetta fotocamera ha una valida gestione degli alti ISO, perché molto spesso si deve scattare a soggetti molto rapidi oppure in condizioni di luce precarie, soprattutto nella stagione autunnale ed invernale. Per le focali, ancora di più, vale il discorso possibilità ma già con un 300 mm su formato full frame o crop frame si riescono a fare cose carine. Utile ma non indispensabile un buon treppiede, magari con testa a bilanciere ma, ancora più utile, un bel bean-bag da appoggiare sui bordi delle feritoie dei capanni di osservazione; il treppiede consente di mantenere l’ottica all’interno del capanno e quindi di non far sporgere qualcosa che potrebbe turbare la tranquillità degli animali, il bean-bag consente una maggiore libertà di movimenti, anche se c’è sempre il rischio che qualche soggetto adocchi quella strana cosa cilindrica che sporge. A me piace rivestire il corpo dell’obiettivo ed il paraluce con quegli anelli mimetici in neoprene che hanno il doppio compito di rendere meno visibili gli obiettivi stessi e, al contempo, li proteggono dai numerosi piccoli urti che possono avvenire contro le strutture.

    Il mio zaino da caccia fotografica (mi piacciono i termini “caccia fotografica”: niente spargimenti di sangue e tanta soddisfazione nel portare a casa le “prede” fotografate sapendo che nella realtà sono ancora là fuori belle vispe) è solitamente composto da questi elementi:

    • Nikon D500, formato crop frame, che in pratica moltiplica le lunghezze focali degli obiettivi di x1,5, messa a fuoco rapida e precisa, raffica di scatto notevole e buffer pressoché inesauribile anche scattando in .raw;
    • Nikon D850, formato full frame, decisamente più “compassata” rispetto alla D500 ma con una qualità dei files notevole; posso usarla principalmente quando mi apposto nel Capanno Del Pettirosso, in cui i soggetti sono veramente molto vicini ed il fattore di moltiplica sugli obiettivi non è indispensabile; mi è capitato anche di usarla nei capanni dedicati agli aironi che a volte si avvicinano a sufficienza oppure per fotografare, sempre da questi capanni, il Martin Pescatore che con i suoi 30 grammi di coraggio e perseveranza non si cura di quegli sfigati che lo mitragliano di scatti dalle feritoie. Edit: ho provato in questi giorni ad utilizzare la Z7 abbinata al 500mm f/5.6, ne parlerò.
    • Nikkor AF-S 500mm f/5.6E PF ED VR, neonato di casa Nikon, leggero come lo zoom 70-200mm e con pressoché le stesse dimensioni, stabilizzato, con uno schema ottico nuovissimo che permette questi “contenimenti” e, di fatto, ne consente abbastanza agevolmente l’uso a mano libera; non è luminosissimo, ma per le mie esigenze e le mie tasche, è un gran obiettivo;
    • Nikkor AF-S 70-200mm f/2.8 ED VR, luminoso, abbastanza veloce, stabilizzato, qualitativo; riesco ad usarlo quasi esclusivamente nel Capanno del Pettirosso, ma quando posso farlo, i risultati sono spesso appaganti;
    • treppiedi Manfrotto MT055X PRO3 in alluminio con testa a bilanciere Benro GH3;
    • bean-bag “made in China” riempita non a fagioli ma con le “patatine” di polistirolo, decisamente più leggera da portare a spasso e assolutamente pratica; ottima anche per sedersi ogni tanto sulle monastiche panche di legno dei capanni;
    • ho rivestito gli obiettivi con le apposite coperture mimetiche della americana Lens Coat dedicate ai singoli modelli: molto ben sagomate, robuste, “rassicuranti” per me che ho sempre il patema di rompere qualcosa, piacevolmente e non grossolanamente mimetiche;
    • poi minuteria assortita: batterie di riserva, memorie XQD e SD, nastro leggermente autoadesivo mimetico per le riparazioni “volanti”, repellente per insetti (per la stagione estiva), testamento (per la stagione invernale, quattro ore immobile in un capanno non sono uno scherzo), pennellino, panno in microfibra e pompetta per le lenti, un praticissimo manuale proposto dalla LIPU che permette agli analfabeti ornitologici come me di provare a riconoscere le specie che fotografa.
    • E pazienza, tanta pazienza.