Domanda: “Si possono fare 325 km all’andata ed altrettanti al ritorno nel giro di 24 ore solo per andare a fotografare un pallina di piume di 13 grammi?” Risposta: “Sì. Se sono mesi che hai in testa il chiodo fisso di fotografare la cincia dal ciuffo, si può fare anche questo”.
Viaggio in Val Roseg
E l’ho fatto. Ho caricato armi e bagagli ed ho fatto un giretto fino alla bellissima Val Roseg, nel Cantone svizzero dei Grigioni, ai piedi del massiccio del Bernina. Perché fare tanta strada? In fin dei conti la cincia dal ciuffo si trova anche sulle montagne dell’arco alpino italiano e sull’Appennino Tosco-Emiliano. Sì, vero, ma occorre prima di tutto individuarla, poi essere fortunati ed infine sperare che si avvicini a tiro di obiettivo. Invece le cince della Val Roseg sono un discorso a parte: in questo luogo sono coccolate, con cibo e rispetto, dagli abitanti, dai turisti e dalle autorità ed hanno progressivamente sviluppato una fiducia nei confronti dell’uomo che ha pochi eguali altrove.
La meraviglia del Bosco Delle Cince
Mentre lo scrivo ancora faccio fatica a crederci: si cammina per pochi chilometri nel bosco innevato avendo fin da subito la sensazione di sentirsi osservati da mille occhi che dall’alto dei pini e dei larici ti scrutano con interesse; quando si sente il cinguettio di queste meraviglie ci si ferma, si posano a terra un po’ di semi e, nel giro di pochi minuti, comincia l’andirivieni frenetico e ipnotizzante di questi (e molti altri) passeriformi; si avvicinano sempre meno timorosi, a brevissima distanza, arrivando persino a posarsi su una mano che offre cibo (video) o (giuro, mi è successo!) sul cappello di lana del fotografo in azione. Tengono loro compagnia a tavola anche splendidi scoiattoli bruni che reclamano a gran voce la loro porzione.
Le foto degli abitanti del Bosco Delle Cince
Ecco, le foto. Avevo letto diversi articoli che spiegavano come in Val Roseg non sia strettamente necessario portare gli obiettivi “lunghi”: i soggetti delle foto si avvicinano talmente tanto a chi fotografa che già un 200mm basta ed avanza e che, anzi, a volte si riesce persino a rimanere più “corti”. E’ anche vero che una focale più lunga isola il soggetto dallo sfondo e quindi ho optato per questa configurazione: la Nikon D850 e la Nikon Z7 come corpi, entrambi full frame, rinunciando di fatto al fattore di moltiplicazione di una DX e privilegiando la grande disponibilità dati di un file da sensore FX; il Nikkor 70-200mm f/2.8 stabilizzato per avere un po’ di alternative sulla lunghezza focale e, soprattutto, per avere un’ampia apertura disponibile in caso di giornata nuvolosa o zone particolarmente ombreggiate del bosco; e infine il Nikkor 500mm f/5.6 stabilizzato perché è leggero, poco ingombrante, se deve isolare il soggetto lo fa veramente e, sinceramente, perché ormai non riesco ad uscire per sessioni di caccia fotografica senza infilarlo nello zaino, mi sentirei nudo (bruttissima immagine…).
Attrezzatura utilizzata
Ho portato con me, inoltre, tutte e quattro le batterie di riserva che possiedo, prevedendo un clima gelido che diminuisce di fatto le prestazioni delle stesse ed è stata una scelta indovinata perché, in cinque ore di scatti ed utilizzando entrambi i corpi macchina, con messe a fuoco ripetute e utilizzo saltuario dell’LCD, sono servite; tanto per dire: a mezzogiorno, malgrado il soleggiamento, la temperatura era -1° C, immaginate il prima e il dopo. Un’avvertenza, credo superflua, ma non si sa mai: abbiate sempre l’accortezza di conservare le batterie di riserva vicino al corpo, in una tasca interna dell’abbigliamento; se le tenete nello zaino, sono meno protette dal freddo e diminuisce di fatto la loro efficienza. Ho pensato di portare con me anche il treppiede ma, effetivamente, non l’ho nemmeno aperto: per seguire proficuamente le evoluzioni di cince e compagnia volante ero troppo impacciato; in pratica ho fotografato sempre a mano libera, producendo inevitabilmente più scatti mossi o sfocati, da cestinare, ma almeno ero abbastanza rapido a puntare l’obiettivo verso il punto in cui si era posato il soggetto di turno. In ogni caso vi consiglio di portarlo ugualmente: non si può mai sapere e non averlo potrebbe pregiudicare un’uscita fotografica.
Completavano l’attrezzatura: zaino con spallacci comodi, minuteria varia figlia del “non si sa mai”, semi assortiti per gli uccellini (poi vi dico) e abbigliamento adatto a freddo e neve: in questo periodo in Val Roseg può fare freschino e non sono una rarità le nevicate improvvise; la notte precedente all’uscita, per esempio, la temperatura è scesa a -9° C ed è nevicato ma sono state registrate anche minime decisamente inferiori, perfino durante il giorno; passando poi parecchio tempo fermi, in attesa di fotografare, è veramente consigliabile vestirsi in modo adeguato e non lesinare sugli strati, ricordando che in fin dei conti la parte iniziale del sentiero si trova a 1750 metri di altitudine ed in fondo ad esso, dopo circa 7 chilometri, si arriva circa ai 2000 metri, quindi non esattamente clima tropicale. Comunque, se il meteo è almeno clemente, grosse problematiche fotografiche non ce ne sono: come ho già detto basta tenere presente che si possono avere nello stesso istante e nel medesimo luogo illuminazioni fortemente diverse dovute ai chiaroscuri del bosco o del sole che gioca a nascondino con le nuvole, se c’è neve (e in questo periodo ce n’è tanta) attenzione a non fare ingannare l’esposimetro e ai riflessi improvvisi ed indesiderati, se desiderate portare a casa qualche foto di paesaggio portatevi un obiettivo dedicato perchè ci sono innumerevoli scorci che vanno dal bello al meraviglioso.
La “pappa” degli uccellini
Dicevo semi assortiti: in realtà non ho utilizzato buste già pronte che si trovano nei negozi o anche in alcuni dispenser dislocati lungo il sentiero e mi sono affidato alla rassicurante cucina mantovana, con una miscela di sicuro effetto (lo so perché l’ho testata ripetutamente con le cince “cittadine” che frequentano il mio giardino): semi di girasole belli grossi e arachidi tritate (non salate, mi raccomando!), tutto biologico e conservato accuratamente. Il bello è che, oltre ad attirare le cince (cincia dal ciuffo, cincia bigia, cincia mora, cinciallegra) questo cibo ha sortito il suo effetto anche sul picchio muratore, sulla nocciolaia e persino sullo scoiattolo bruno. Verso ora di pranzo ero tentato di assaggiarlo anch’io…
Solo un’immagine, prima di concludere: mentre stavo tornando all’auto, appena lasciato il posto in cui mi sono fermato più a lungo, nel silenzio del bosco ho sentito un frullo d’ali e qualcosa mi ha sfiorato la testa andando a posarsi sul ramo di un pino di fronte a me, con una serie di piccoli cinguettii. Era una cinciallegra, che evidentemente controllava se mi fosse rimasto qualcosa da offrire. E poi non venitemi a dire che questo posto non è magico.







2 Comments
Gli alberi sono gembri (o cembri)
Ti ringrazio per la puntualizzazione, Alberto, perché confesso la mia immensa ignoranza in botanica.