Tag: campagna

  • Le strade di Viadana (e dintorni)

    Le strade di Viadana (e dintorni)

    Un giro virtuale per le strade del viadanese, immortalato su pellicola, per godersi ogni attimo con calma.

    Quando sembra che non ci sia più tempo, la tentazione è quella di mettersi a correre, fare presto, fare il più cose possibile.

    Ed invece no. Bisogna fermarsi. Assaporare le cose che conosci e che ami, come la tua Bassa, le campagne che vedi da tanto tempo, le strade che hai percorso tante volte.

    Metti da parte le macchine digitali, quelle perfette che difficilmente sbagliano un colpo, che ti fanno vedere la foto prima ancora di averla immaginata. E tiri fuori le vecchie glorie che come sensore hanno un rullino e che per trentasei volte sarà quello e solo quello, senza ripensamenti. E scatti piano, prendendoti il tempo. Anche quello che forse non c’è.

    E non sai quanto tempo ci sarà ancora. Ma hai la confortante speranza che i tuoi passi ed il clic della tua macchina fotografica risuoneranno ancora un po’ quando sarà tornato il silenzio in queste strade amiche.

     

    Via Argine Oglio

     

    Via Volta

     

    Via Valle

     

    Via Ottoponti

     

    Via Manfrassina

     

    Via Valle

     

    Via Podiola

     

    Via Al Ponte

     

    Via Bordenotte

     

    Via Kennedy

     

    Via Val D’Enza

     

    Via Pisacane

     

    Via Cadorna

     

    Via Val D’Enza

     

    Via Case Sparse Casalbellotto

     

    Via Podiola

     

    Via Al Ponte

     

  • Il pane delle api.

    Il pane delle api.

    In una calda giornata di maggio passi in auto su uno dei nostri argini e ti guardi in giro distrattamente, perché sai cosa offre il paesaggio agricolo in questo periodo: il verde azzurrognolo dei campi di grano non ancora maturo, il giallo vivo dei campi di colza, il verde smeraldo delle coltivazioni di erba medica. Poi vedi qualcosa che “stona”, qualcosa che non ci può essere qui nella Bassa: una macchia viola punteggiata di rosso. E ti dici che la Provenza è lontana, non possono esserci campi di lavanda qui da noi, se non in rarissime eccezioni. Non puoi fermarti, non c’è tempo. Ma alla sera ritorni, trovi il campo viola che non può esserci ed hai la fortuna di parlare con un signore gentile, venuto anch’egli per fare foto, che ti spiega che queste meraviglie viola sono i fiori della Facellia (con al preziosa comparsa di fiordalisi e papaveri), coltivati per uno scopo ben preciso, grazie anche alla sponsorizzazione di una nota industria alimentare parmigiana: sono il pane delle api.

    La Facelia è una pianta erbacea annuale che nei mesi caldi colora di un bel viola acceso campi e prati,  regalando effetti cromatici davvero suggestivi. La sua fioritura abbondante e persistente piace molto alle api e a tanti altri insetti impollinatori ghiotti del suo nettare. Da questa pianta, infatti, si ricava un miele molto apprezzato e di altissima qualità. Una volta sfiorita, la Facelia si trasforma in un prezioso nutrimento per il terreno, tanto da essere considerata un vero e proprio concime naturale.

    Si tratta di una delle piante da miele più ricercate e coltivate che ha un ruolo molto importante per la conservazione della biodiversità.

    I suoi fiori, di colore blu-violetto, attirano api, bombi e tanti altri insetti utili. Le larve di questi insetti predano alcuni parassiti delle piante mentre gli esemplari adulti si nutrono del nettare e del polline. I frutti hanno una spiccata capacità germinativa e non appena cadono in terra generano nuove piante.

    Il valore agronomico e ambientale della Facelia è ormai riconosciuto anche in Italia da un numero sempre crescente di agricoltori e apicoltori, che la utilizzano sia come rimedio salva-api, sia come concime naturale una volta che queste terminano il loro ciclo di fioritura. Questa pianta, infatti, ha come caratteristica peculiare, la caratteristica di fiorire in periodi dell’anno in cui le altre piante sono già sfiorite, costituendo un vero e proprio salvavita per le api in particolare. Inoltre la pianta rappresenta anche un’ottima fonte di nutrimento per animali da pascolo, come bovini ed equini.

  • La tëra

    La tëra

    Passeggiando per la campagna circostante il mio paese ho notato casualmente un filare di vite come non mi capitava di vedere ormai da diverso tempo, una forma di coltivazione dell’uva ormai in disuso ovunque, soprattutto nelle zone agricole a dominante vocazione vitivinicola: la tëra.

    Viene così definito in dialetto della bassa mantovana (altrove non ne ho idea) il filare di vite che orna i limiti delle coltivazioni formato, ovviamente, da piante di vite che vengono lasciate crescere notevolmente, e i cui tralci si allungano a destra e a sinistra della pianta stessa trovando appiglio su pali orizzontali fissati appositamente per favorirne l’appoggio. Questa struttura arriva a formare una sorta di galleria doppia, separata  al centro dai vitigni stessi e da altre piante, come querce e noci, che si trovano già nel filare o che vengono messe appositamente, offrendo un ulteriore sostegno alla struttura che si crea progressivamente.

    Non sono un esperto, anzi al contrario, ma credo che questo tipo di coltivazione della vite avesse come scopo quello di ottenere una produzione maggiore di uva a discapito (come dicono quelli che hanno studiato) della qualità del vino.

    In realtà, essendo un fervido sostenitore del lambrusco e trovando i moderni e asettici filari del vino “buono” (magari fermo come l’acqua di una pozzanghera e pastoso come una cucchiaiata di sapone), tutti cemento e fil di ferro con quattro foglie di vite in croce perché altrimenti si perde di percentuale zuccherina, ho rivisto con nostalgia profonda la tëra, perché mi sono tornati in mente i giorni trascorsi  in campagna dagli zii contadini, quando queste volte di foglie profumate erano un ombroso riparo dai raggi cocenti del sole al momento della merenda e ci si sedeva alla loro ombra a mangiare un panino col salame e qualche frutto; oppure i pomeriggi dell’infanzia trascorsi a giocare con gli amici, in cui le lunghe gallerie delle tëre si trasformavano nei corridoi di un palazzo di fantasia, in cui correre e giocare a nascondino. E che meraviglia la stagione della vendemmia, quando gli adulti tagliavano i pesanti grappoli e li riponevano con cura nelle grosse casse di legno e noi bambini ci ingegnavamo a rubare un chicco d’uva come se fino ad allora non fosse mai stata disponibile sulla pianta.

    Ma il mondo è andato avanti (?), le tëre scompaiono progressivamente e al posto di un bicchiere di lambrusco senza grilli per la testa ci dobbiamo sorbire quelli che hanno studiato che, calice alla mano (il bicchiere no, il bicchiere è volgare) ci dicono che quella roba slavata che sballottano nel vetro è un sauvignon dal colore ambrato, dall’odore fruttato con un retrogusto di nocciole delle Langhe cresciute in un campo di tarassaco.

    Poveri noi!