Quando l’Autunno colora i boschi
C’è un periodo dell’anno che attendo con trepidazione ed insieme a me, suppongo, tantissimi altri appassionati di fotografia: l’Autunno. Uno potrà anche non amare in modo particolare questa stagione, un po’ perché significa meno ore di luce, la fine delle giornate calde, l’arrivo delle prime nebbie e delle prime piogge insistenti, eccetera ed io non faccio testo perché sono nato in questo periodo dell’anno e perché non amo in modo particolare il caldo estivo, ma dal punto di vista della gratificazione visiva – e, di conseguenza, fotografica – sfido chiunque a pescare alle nostre latitudini una stagione più spettacolare.
I boschi si colorano del foliage autunnale
In particolare sono le zone boschive di colline e montagne che indossano la loro veste migliore: le foglie dei vari tipi di piante assumono colori vivaci e quelle che non cambiano mai livrea, tipo gli abeti, collaborano con il loro sempreverde a formare un forte contrasto con i gialli, gli arancioni, i rossi delle altre specie. Senza dimenticare il tappeto color bronzo delle foglie cadute, su cui camminare è un piacere atavico; oppure lo scorrere dei torrenti rivitalizzati dalle piogge, con il loro sussurro nelle zone piane o il fragore dei salti d’acqua; e i profumi della terra bagnata, del legno, delle foglie stesse, dei funghi che spuntano ovunque.
Fotografare l’Autunno
E’ perfino superfluo dirlo, ma gli spunti fotografici legati a questi mesi sono innumerevoli: c’è materiale a volontà per il paesaggista, ovviamente; ma anche chi ama fotografare scorci più intimi o, addirittura, il micromondo che popola i boschi, trova occasioni in abbondanza; senza scordare i fotografi naturalisti, che possono sbizzarrirsi a fotografare i grandi mammiferi così come l’avifauna stanziale o di passo.
Basta indovinare il periodo giusto
Ecco, mentre per gli altri generi fotografici, una settimana in più o una settimana in meno nel corso del periodo autunnale non fa molta differenza, chi desidera fotografare i paesaggi con il foliage nella sua veste migliore, deve essere bravo e fortunato. Bravo a programmare le sessioni di scatto nei giorni giusti, nei quali la colorazione delle piante raggiunge il suo apice e non è ancora “troppo verde”; e fortunato, soprattutto fortunato, perché basta un temporale particolarmente forte o alcune ore di raffiche di vento freddo per far cadere la maggior parte delle foglie dagli alberi. E allora è tutto un consultare le previsioni meteorologiche, rapportandole alle altitudini dei luoghi in cui si prevede di scattare le foto e sperando che siano sufficientemente precise nel medio periodo di una settimana; si ritorna con la memoria alla stagione estiva appena trascorsa, facendo mente locale sulle precipitazioni che ci sono state e sulla loro abbondanza, per stabilire se le piante possano o meno aver sofferto della siccità e quindi essere più avanti con il periodo in cui le foglie cambiano colore o cadono; si consultano in continuazione le webcam dei rifugi montani per cercare di capire a che punto è la colorazione del bosco; si contrattano giorni di ferie con l’ambiente lavorativo cercando di ottenere un paio di giorni nelle settimane “strategiche” del periodo, ed avere qualche ora in più da dedicare alla trasferta fotografica; si controlla minuziosamente l’attrezzatura, sia quella fotografica che quella da trekking, per essere pronti ad ogni evenienza. E si fanno anche parecchi chilometri a vuoto, recandosi in un luogo che si ritiene pronto per essere fotografato per poi scoprire che no, è troppo presto, occorre tornare la prossima settimana, quando la colorazione sarà all’apice del suo splendore. Sempre meglio, in ogni caso, di arrivare da qualche parte per constatare che il vento della sera precedente ha fatto piazza pulita del fogliame e sono rimasti solo tronchi e rami scheletrici. E capita, eccome: non più tardi di due anni fa avevo solo un giorno a disposizione per la trasferta fotografica e mi sono fatto un paio di ore di auto, più un’ora abbondante di salita a piedi, carico di attrezzatura, solo per scoprire che avrei potuto esclusivamente fotografare la silhouette degli alberi, perché il fogliame era tutto a terra. E allora niente: si esclama qualche “accipicchia”, ci si trasforma di colpo in fotografi macro e si cerca di portare a casa lo scatto di qualche bella castagna o di un fungo particolarmente espressivo e ci si ripromette di essere più previdenti il prossimo anno, di trovare un giorno giusto.
Cosa portare nello zaino
Bel dilemma, come sempre. Si vorrebbe avere con sé tutto l’arsenale, per poter avere la possibilità di fotografare il paesaggio con l’obiettivo grandangolare, ma anche sfruttare la compressione dei piani utilizzando il teleobiettivo, oppure un obiettivo macro per i preziosi particolari del bosco. Ma tutto ciò si scontra fatalmente con le camminate impegnative che bisogna spesso affrontare per raggiungere i luoghi di scatto. E allora, a meno di avere un mulo per amico (o un amico mulo), conviene operare delle scelte, dolorose ma necessarie. Ovviamente mi guarderò bene dal consigliare una configurazione di obiettivi piuttosto che un’altra: tutto dipende dai gusti e dalla sensibilità personale. Per quel che mi riguarda ho imparato, a mie spese, a “limare” sempre di più il contenuto dello zaino: in genere porto con me la reflex o, visti i recenti sviluppi, la mirrorless; come obiettivo principale scelgo spesso lo zoom 16-35mm, in genere affiancato dal 24-70mm; mi riservo di portare il 70-200mm solo se prevedo di raggiungere un punto elevato o, comunque, panoramico. Anche se un poco ingombranti, non posso fare a meno di infilare nello zaino i filtri, soprattutto il polarizzatore ed un filtro ND per le lunghe esposizioni; cavo di scatto remoto, batterie e schede di memoria di riserva e, naturalmente, il treppiede, croce e delizia dei fotografi ma, a mio parere, oggetto pressoché indispensabile.
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