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  • Heysel, 29 maggio 1985

    Heysel, 29 maggio 1985

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    Trent’anni dopo. Per non dimenticare.

    E’ quasi mezzogiorno quando arriviamo a Bruxelles. Il viaggio è stato interminabile, soprattutto per me che non riesco a dormire in pullmann. Lungo il percorso ogni tanto abbiamo superato altre carovane di tifosi juventini, con i quali ci siamo salutati chiassosamente, ma avvicinandoci alla città il numero di pullmann bianconeri è aumentato in maniera esponenziale: siamo una marea e questo, anche se si tratta solo di una illusione, ci fa ben sperare per l’esito della partita.

    Il parcheggio che ci hanno riservato è grandissimo ed è stracolmo di tifosi. Cerco qualche faccia conosciuta, ma so che è inutile. Solo io, Gino e Fabio siamo arrivati qui per strada; gli altri tifosi partiti da Viadana stanno arrivando in aereo, beati loro che possono. Cerchiamo le indicazioni per lo stadio. Non ce ne sono oppure non le vediamo, seguiamo la corrente bianconera, qualcuno là davanti saprà dov’è. Una breve pausa per una foto davanti all’Atomium: l’ho visto mille volte sui libri di geografia e vederlo dal vero mi fa un certo effetto.

    Finalmente arriviamo nei pressi dello stadio: esternamente non ci sembra granché, spero che sia meglio all’interno. Sui prati attorno allo stadio ci sono tantissimi gruppetti di tifosi: c’è chi mangia, chi dorme, chi legge la Gazzetta e avvicinandoci sentiamo i discorsi concitati di mille allenatori; ognuno ha la sua formazione e la sua tattica di gara, ci accomuna solo la speranza che non si ripeta la beffa di Atene.

    Io, apprensivo come al solito, voglio individuare l’ingresso del nostro settore per non essere impreparato quando apriranno i cancelli; Gino e Fabio mi prendono in giro ma si uniscono a me nella ricerca. Ci avviciniamo al perimetro dello stadio e cominciamo a percorrerlo. Nei pressi di quella che dovrebbe essere la tribuna centrale ci sono delle transenne. Qui non si passa. Facciamo un giro più ampio e arriviamo in corrispondenza di una delle curve. Sarà la nostra? Assorti nella ricerca, non ci siamo accorti che il colore dei prati circostanti è gradualmente mutato: da verde, bianco e nero è diventato verde e rosso. Qui ci sono i tifosi del Liverpool. Nella illusoria speranza che la mia maglia bianconera e quella di Fabio non risultino così evidenti (come se quella blu da trasferta di Gino con il logo Ariston, lo scudetto e le stelle sembrasse una normale polo…) proseguiamo nel nostro cammino. Non posso fare a meno di sbirciare i volti dei tifosi inglesi, nel timore di una espressione di minaccia e nella speranza di un sorriso di complicità.

    Un ragazzo si stacca da un gruppetto numeroso e si avvicina. Sorride timoroso, indica la mia maglia e mi parla. Accidenti, come è diversa la sua parlata dall’inglese della prof.; comprendo la metà delle sue parole, ma capisco che vuole cambiare la mia maglia con la sua. Perché no? Magari ci speravo in una cosa del genere e forse sarà per questo che, oltre alla maglia ufficiale, mi sono portato una maglia replica acquistata su una bancarella davanti al Comunale prima della partita con il Bordeaux. Facciamo lo scambio. E’ bella la loro maglia, di un rosso che comunica passione; chissà quand’è che la Juve deciderà di adottare le maglie fatte con questo tessuto lucido. Ci diamo la mano e ci salutiamo. Io gli dico: “Good luck”, ma non lo penso veramente, non per stasera almeno.

    Proseguiamo nella nostra ricerca, arriviamo quasi alla fine della curva prima del settore dei distinti; qui c’è un po’ di movimento. Non capiamo o forse capiamo ma non ci sembra possibile. Ci sono dei tifosi a cavalcioni del muro di cinta che in questo punto mi sembra più basso che altrove e con il filo spinato rotto; altri tifosi stanno passando loro dei contenitori, sembrano casse di birra. Forse stanno portando dentro degli striscioni, ma qualcosa ci dice che la prima impressione è quella giusta. Questi sembrano meno amichevoli di quelli che abbiamo incontrato prima e allora decidiamo di non indugiare troppo e ci allontaniamo rapidamente.

    Heysel_002Passato il settore dei distinti, l’ambiente torna a tingersi del rassicurante colore bianconero e vediamo anche un cancello con sopra un cartello che recita “Juventus”; non ci è dato di sapere se è l’ingresso del nostro settore, ma una valutazione della piantina dello stadio disegnata dietro al biglietto di ingresso ci spinge a pensare che sia così. Chiedo a tutti quelli che incontro se è questo il settore ‘N’ e puntuale arriva la presa in giro di Gino e Fabio. Siamo arrivati e anche se è un po’ presto, decidiamo di fermarci qui. Anni di partite al Comunale ci hanno insegnato che se non sei davanti ai cancelli quando aprono, ti rimangono i posti peggiori.

    Il pomeriggio avanza, fa caldo (perché quando compri la maglia ufficiale ti mandano sempre quella a maniche lunghe invernale?), il numero di tifosi aumenta e tutti si accalcano. Già da tempo abbiamo rinunciato a stare seduti e, per giunta, nel gruppo si è infilato anche un poliziotto a cavallo ed io, con la mia solita fortuna, sono faccia a faccia con il quadrupede. Spero che sia stato addestrato bene. Sorrido al poliziotto, nella speranza che capisca che qui non ci sono teppisti, ma lui non si smuove. “Vabbè, l’importante è che tu tenga buono Furia” penso io.

    Cresce l’eccitazione. La batteria dell’orologio mi ha abbandonato, ma penso che ormai ci siamo. Ora aprono. E’ come una scossa. Cominciano i cori “Juve, Juve” prima ancora di entrare. Siamo dentro. Ci sistemiamo in una posizione decente, vicino ai distinti e cominciamo a studiare quello che sarà il teatro della partita. Il prato è uno splendore. Qui il verde sembra – se possibile – più verde, che meraviglia. Però il resto non è granché: lo stadio non ci sembra molto grande; sicuramente è molto vecchio e comunque tenuto male. Addirittura i gradini larghi e bassi sono in più parti sbriciolati. Penso che sia quasi meglio il Comunale, che ho tante volte denigrato. Ricomincio a fare il solito giochetto delle “forze” sugli spalti, come se il numero dei tifosi fosse decisivo. Guardo verso al curva opposta alla nostra, dove ci sono i nostri “nemici”, ma non è tutta rossa: nella parte verso le tribune ci sono degli juventini. Chissà, forse siamo talmente in tanti che ci hanno riservato anche quel settore. Intanto lo stadio si riempie. Per ingannare l’attesa si parla, si legge un quotidiano faticosamente mendicato al vicino; ogni tanto qualcuno parte con un coro e allora tiriamo su sciarpe e bandiere e cantiamo per darci coraggio e sperando di darne ai giocatori. C’è uno dietro di me che ha uno striscione con scritto “Mamma sono qui”. Questa mi mancava.

    L’eccitazione aumenta sempre più. Non riesco più a calmarmi, se continuo di questo passo esaurirò le unghie prima dell’inizio della partita. Un boato. Sono entrate delle persone con la tuta della Juve sul campo. Da qui non riconosco i volti, potrebbe essere il massaggiatore, ma potrebbe essere anche Platini. Quanto manca? Sono quasi le sette. Manca ancora parecchio ed i minuti sembrano espandersi nell’attesa. Mi metto tranquillo. Ma dura poco.

    Heysel_004Un brivido percorre la curva, forse stanno entrando i giocatori a vedere il terreno di gioco. No, sta succedendo qualcosa sulla curva opposta. Cerco di capire. Dai due settori riservati ai tifosi del Liverpool stanno lanciando degli oggetti verso il settore degli juventini, sembrano bottiglie, forse sassi, non vedo bene. La parte della curva bianconera fischia, anche noi fischiamo. Ma proprio stasera dovevano fare casino? Fra le due tifoserie compatte si è aperta una frattura. Poi, come comandati da un unico impulso, i tifosi del Liverpool cominciano a muoversi in direzione di quelli della Juve. “Ci saranno le reti” mi dico, “Arriverà la polizia” spero, “Si fermeranno” prego. Si fermano. Ma è un attimo. Come una molla gli inglesi si ritraggono e poi ripartono, ma questa volta non si fermano, continuano ad avanzare. La massa dei tifosi bianconeri si sposta verso le tribune, forse stanno uscendo. Da qui vedo che molti si riversano sul campo di gioco. Forse gli addetti hanno aperto i cancelli e per evitare problemi li fanno entrare sulla pista. Il settore è quasi vuoto. E quelli del Liverpool si sono fermati; lentamente ritornano verso i loro settori e cantano. Cerchiamo di capire, ma da qui è difficile.

    L’altoparlante dello stadio non da comunicazioni. Speriamo che non rimandino la partita. Sarebbe il colmo essere venuti fin qua per non vederla. Passano i minuti. Il settore degli juventini rimane vuoto, i suoi occupanti sono tutti in campo. Mi sembra di sentire delle sirene. Stanno arrivando i rinforzi per la polizia, oppure sono ambulanze, forse qualcuno si è fatto male.

    Intanto il tempo trascorre, adesso troppo in fretta. Ma insomma, cosa fanno, perché non dicono nulla? L’altoparlante dello stadio comincia a emettere suoni, ma la confusione è tanta e i messaggi arrivano frammentati. Riusciamo a capire che i capitani delle squadre leggeranno un comunicato. Si sente una voce timida, è Scirea ci dicono: “La partita verrà giocata per consentire alle forze dell’ordine di organizzare l’evacuazione del terreno. State calmi. Non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi” . Poi un’altra comunicazione, questa volta in inglese. Questi è Neal, il capitano del Liverpool. Non riusciamo a capire. Ma la partita è valida?

    Intanto il campo è sempre pieno di persone, a cui si vanno aggiungendo squadre di poliziotti o soldati che si dispongono attorno al perimetro del terreno. Se possibile, il trambusto aumenta quando entrano in campo alcuni calciatori della Juve circondati da un gruppo sempre più folto di persone. Arrivano quasi sotto la nostra curva. Nella calca mi sembra di riconoscere Cabrini, ma non ne sono certo. E’ tardi, l’orario di inizio è trascorso. Scirea ha detto: “Giochiamo per voi”, spero che non ci abbiano ripensato. Impercettibilmente il campo si svuota, tutte le persone che c’erano prima sono scomparse. Forse i tifosi della Juve scesi sul terreno di gioco sono stati smistati in altri settori dello stadio. Abbiamo notato che molti spettatori dei distinti alla nostra destra sono andati via. Forse si sono impauriti per il trambusto. Vediamo un varco nella rete divisoria fra i settori e molti tifosi della curva ci passano attraverso per spostarsi nei distinti. Lo facciamo anche noi, vogliamo vedere un po’ meglio. Non c’è nessuno ad impedicerlo.

    Heysel_003Sono già passate le nove, quando inizia la partita. I minuti prima lentissimi adesso passano troppo velocemente. Le squadre giocano abbastanza bene, sembra tutto normale. Voglio pensare che sia tutto normale. Noi facciamo qualche azione buona, ma anche loro non scherzano. Sono forti, lo sapevamo. Tacconi si supera in più di una occasione. Finisce il primo tempo sullo 0 – 0. Facciamo qualche commento, ognuno ha la sua ricetta per vincere, ma non sembriamo molto convinti. Un’ombra ci opprime. Entrano le squadre per la seconda parte della gara. Nella Juve non è cambiato nessuno. Passano una decina di minuti, poi un lampo. Boniek parte al galoppo. Sale l’incitamento, che diventa un boato quando i difensori del Liverpool lo stendono nei pressi dell’area. Rigore! “Ma, c’era?” . L’arbitro dice di si. Tira Platini. Proprio sotto la curva degli incidenti. Contrariamente al solito, questa volta lo guardo tirare anche se attraverso mirino della macchina fotografica. Gol! Stiamo vincendo. “Manca molto?”. Adesso il Liverpool non ci sta a perdere e ci comprime nella nostra metà del campo. Il cuore sta facendo gli straordinari. Tacconi para anche lo mosche. E’ quasi finita. Una sostituzione per la Juve. Esce Briaschi, entra Prandelli; ci copriamo, il Trap ha aspettato più del solito a farlo. Manca pochissimo. Un’altra sostituzione. Esce Rossi ed entra Vignola. E’ finita! Abbiamo vinto.

    Ci abbracciamo. Gino piange, ma non vuole farsi vedere. La curva alla nostra sinistra, dove eravamo prima è una marea bianconera. Aspettiamo la premiazione, vogliamo la coppa più desiderata. Il tempo passa ma non vediamo nulla. Ce la siamo persa? Altri minuti, non si vede nessuno. Ma che fanno? Hanno cambiato il rituale? No, ecco i giocatori che arrivano. Non ci sono tutti. C’è Platini che corre sotto la curva. Foto. Passano Tardelli e Boniek proprio davanti a noi. Altra foto. Questo coi baffi chi è? Favero. Altra foto. Non vedo altri juventini. Ma dov’è la coppa?

    Non c’è più nessuno in campo, esclusi poliziotti ed addetti. Lo stadio si sta svuotando, per stasera non fanno altro. Decidiamo di uscire. Torniamo al pullmann. Occhio alle maglie rosse. Dopo quello che è successo, non si sa mai.

    Ci rimettiamo in viaggio. Appena fuori Bruxelles, ci fermiamo in un posto di ristoro. E’ chiuso. “Ma come? Da noi sono sempre aperti o quasi.”. Proseguiamo. Abbiamo fame. Un altro autogrill. Come non detto. Appena vede arrivare i pullmann, qualcuno pensa bene di chiuderlo. Ci teniamo la fame, ci arrangiamo per i bisogni fisiologici e ripartiamo. Viaggiamo tutta la notte e arriviamo al confine svizzero alle prime luci dell’alba. Finalmente, un autogrill aperto. Ci fermiamo e assaltiamo letteralmente il bar. Ci guardano in modo strano. Una cameriera piange. Che succede? Io cerco l’espositore dei quotidiani. Voglio comprare una copia della Gazzetta per conservarla come ricordo. Non la trovo. Ci sono solo giornali in lingua tedesca. Ne compro uno. Ho una conoscenza scolastica del tedesco, ma riconosco il vocabolo che campeggia in prima pagina vicino ad un numero troppo alto per essere vero, ‘Toten’; e le immagini che vedo mi scavano un solco profondo nella mente e nel cuore. Per sempre.

    Siamo a casa nel primo pomeriggio. Un conoscente mi offre un passaggio dal terminal degli autobus fino a casa mia. Mi dice che in paese mi davano per disperso. Risultavo capogruppo nell’elenco dei tifosi partiti da qui. Quelli che sono venuti alla partita in aereo sono tornati prima di noi, ed hanno raccontato di aver sentito il mio nome chiamato più volte dallo speaker dello stadio. Mi sembra incredibile, io non ho sentito nulla. Mi dice anche che la mia ragazza ha telefonato al Ministero degli Esteri. Non le hanno saputo dare notizie. Arrivo a casa. Mia madre mi abbraccia e piange. Mio padre non mi dice nulla. Mi guarda e parte per andare al lavoro. Anni dopo mi dirà di non aver provato una paura simile nemmeno ai tempi della guerra.

    Non ho mai voluto guardare la registrazione di quella serata.

  • Le montagne della Bassa

    Le montagne della Bassa

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    Penso che molti siano d’accordo sul fatto che fotografare montagne, colline o alture in genere offra spunti paesaggistici decisamente gradevoli, vuoi per l’aspetto selvaggio di molti di questi luoghi, vuoi per la varietà degli orizzonti piuttosto che per le molteplici forme di varietà vegetali.

    Le cose si complicano un pochino quando il poco tempo a disposizione “costringe” i fotoamatori come a me ad arrangiarsi con i paesaggi che si possono raggiungere in breve tempo, nel mio caso le campagne della Bassa (mantovana, reggiana, parmense o cremonese non fa differenza, tanto io vivo nel “Triangolo dei Türtei ad söca” e di campagna ce n’è a perdita d’occhio).

    Qui le alture scarseggiano un pochino, anzi latitano del tutto. Allora, per dare alle foto quell’aspetto “movimentato” che indubbiamente aiuta, ci si arrangia con le cose più elevate che si trovano, ovvero gli argini di contenimento; il suddetto “Triangolo dei Tortelli di zucca” è circondato dai fiumi Po, Oglio e Mincio e quindi gli argini si trovano un po’ ovunque.

    Basta indovinare – come al solito – meteo favorevole, fioriture, luce radente, un altro migliaio di variabili e qualcosina si combina.

  • Workshop a Torrechiara

    Workshop a Torrechiara

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    Due giorni intensi di studio, pratica e… risate (grazie alla splendida compagnia) al Castello di Torrechiara (PR), nel workshop organizzato e gestito da Alberto Ghizzi Panizza e Lara Zanarini.

    Esperienza veramente gratificante solo in parte rovinata dal meteo… troppo bello!

    Abbiamo iniziato sabato mattina con la parte teorica, fino ad ora di pranzo. E qui desidero ringraziare di tutto cuore l’organizzazione Donne di Torrechiara per la squisita ospitalità e, soprattutto, per gli squisti piatti che ci hanno preparato. Poi via di corsa (eufemismo) sulla strada alta che che sovrasta il Castello e che permette di godere di alcuni scorci veramente interessanti, sia dal punto di vista turistico che, ciò che mi preme di più, fotografico.

    Ci siamo trattenuti fino al tramonto e siamo rientrati per una breve pausa a cui è seguita  – per chi poteva restare – una uscita notturna per la realizzazione di stratrails e foto alla Via Lattea.

    Ci siamo ritrovati all’alba di domenica, nella speranza purtroppo delusa, che il cielo ci regalasse qualche “variabile” in più, ma non c’è stato nulla da fare ed allora ci siamo arrangiati con quel che c’era. Siamo poi ridiscesi al Castello per una visita al suo interno, per un po’ di foto architettoniche e anche e per l’immancabile selfie di gruppo di fine uscita.

    Rientro pomeridiano per la post produzione e poi il “Rompete le righe”.

    Grazie di cuore a tutti, masters e partecipanti.

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  • Emily Way

    Emily Way

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    L’amico Valerio Dondi, impareggiabile amministratore del gruppo Facebook Nikonisti Emilia-Romagna, come spesso gli accade, l’ha pensata bella: dedicare un progetto fotografico alla via Emilia, lungo il suo percorso da Piacenza a Rimini, coinvolgendo tutti gli iscritti al gruppo e chiedendo loro di mettere nero su bianco – anzi, luce su sensore o pellicola – una documentazione dell’attualità, delle trasformazioni, dei paesaggi, dei luoghi, delle persone, degli eventi legati alla via Emilia, al fine di realizzare un lavoro monografico sulla realtà odierna del territorio attraversato dalla vecchia via consolare.

    A questo link potrete trovare maggiori chiarimenti e le modalità di adesione: Progetto AEMILIA .

    Io mi sono già messo in movimento, perché il progetto è stimolante. Nemmeno a farlo apposta, i giorni scorsi , avevo notato (annotato) un bar appena ristrutturato sulla via Emilia, attratto dal colore vivo dei muri esterni e dall’insegna decisamente evocativa.

    Tant’è che mi sono deciso ed ho portato a casa questo scatto, cercando di contrapporre l’immobilità coloratissima dello stabile così particolare e il flusso incessante e ipnotizzante delle auto sulla via Emilia, testimoniato dai fantasmi dei riflessi sulle carrozzerie in movimento; mica facile mettere in pratica l’idea, soprattutto a metà di un pomeriggio di marzo, con luce in abbondanza e flare come se piovesse. Mi sono arrangiato: f/ stop da delinquente (f/16), filtro ND, impostazioni manuali e alcuni tentativi. Niente di che, ma il risultato lo pubblico ugualmente.

    Per chi se lo stesse chiedendo: fonti certe mi hanno riferito che il traduttore dell’insegna ora lavora per una multinazionale alimentare che produce anche gelati; erano alla ricerca di qualcuno che potesse coniare uno slogan pubblicitario famoso quanto il mitico spot “Ciu gust is mei che uan!” .

    Per me l’anno trovato…

  • Spiagiòn

    Spiagiòn

    E’ impressionante come la forza dell’acqua e l’irruenza delle piene del fiume Po riescano a modellare il territorio. E nemmeno in tempi archeologici.

    Nel corso dell’estate appena trascorsa (ammesso che sia finita, considerate le temperature attuali) sono andato con l’amico Lorenzo sulle rive del fiume Po, alla ricerca della grossa lingua di sabbia (spiágion) che si forma a ridosso della sponda sinistra nei pressi del ponte di Viadana, con l’intenzione di fare qualche scatto serale; ebbene: siamo tornati a mani vuote perché al posto della spiaggia c’erano alcuni metri di acqua corrente e tumultuosa.

    Nemmeno quattro mesi dopo ci abbiamo riprovato, accompagnati questa volta anche dall’amico Luca, e, sbucando dall’intricata boscaglia che tappezza la golena, siamo rimasti veramente sorpresi di trovare una distesa di sabbia da far invidia a parecchie località balneari.  C’era solo l’imbarazzo della scelta su dove piazzare il treppiede.

    Piuttosto una raccomandazione mi preme farla: se qualcuno fosse tentato di imitarci, abbia l’accortezza di non andare da solo in quei luoghi; le sabbie di riporto possono essere a volte infide e la strada per il ritorno non è così agevole di notte, anche se il centro abitato è a pochi chilometri.

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  • “Dr. Livingstone, I presume”

    “Dr. Livingstone, I presume”

    bobbio

    Ok, forse ho un po’ esagerato con la citazione di Henry Morton Stanley nel titolo ma, quando non si conosce un luogo e si desidera valutarne le potenzialità fotografiche, gli scorci migliori ed il periodo più favorevole dell’anno, beh è come se si compisse una piccola esplorazione.

    Questa mattina è toccato a Bobbio, splendido paesino millenario adagiato sulle rive del torrente Trebbia, ai piedi delle colline piacentine, conosciutissimo (e fotografatissimo) per il suo ponte vecchio, denominato anche Ponte Gobbo a causa del suo profilo irregolare, con una decina di arcate poste a diverse altezze e distanze.

    Certo che trovare degli spot che non siano già stati fotografati in tutte le salse non è una impresa semplice, ma vale sempre il discorso fatto in passato: ci sono andato anch’io, l’ho fotografato con la mia attrezzatura e quindi queste sono le “mie” foto.

    Oddio, intendiamoci, nulla di trascendentale, per vari motivi legati al meteo, all’orario e ad altre numerose variabili (soprattutto l’incapacità del fotografo).

    Però, intanto, ho esplorato e memorizzato. E Bobbio non scappa mica.

  • Ripartire

    Ripartire

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    Non è la prima volta e non sarà certo l’ultima. Anzi, in base alle previsioni meteo (e degli anziani), l’onda di piena più grossa dovrebbe arrivare nella notte fra lunedì e martedì.

    E allora non rimane che attendere e sperare che tutto si risolva per il meglio ma con la certezza che, comunque vada, noi siamo in grado di ripartire.

  • Non sono stato io

    Non sono stato io

    Premesso che quello che scrissi in “Ciao Mondo” è assolutamente ancora valido ed attuale, volevo informarvi che a partire da oggi e fino alla metà di dicembre, grazie alla squisita ospitalità dell’amica Susanna Nicoli del  Bar Chrysopolis (pagina Facebook) a Parma in Strada Quarta 6/1c, avrò l’onore di esporre alcuni scatti fotografici realizzati “nella fettaccia di terra” fra la pianura della Bassa mantovana ed i boschi dello splendido Appennino Parmense.

    Passo, arrossisco e chiudo.

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  • Affascinante Lessinia

    Affascinante Lessinia

    lessinia

    Prima volta in assoluto per me sulle Prealpi venete, nel Parco Naurale Regionale della Lessinia. Non avevo mai visitato questi luoghi e ne sono rimasto colpito perché sono veramente affascinanti.

    Purtroppo il tempo a disposizione era poco ed il meteo, dopo aver contribuito nei giorni scorsi a spogliare gli alberi degli splendidi colori autunnali, non è stato molto amichevole, offuscando l’alba con nebbia insistente e  velando il cielo della mattinata con nuvole stratificate. Sono le incognite di queste uscite fotografiche, si sa.

    Quindi non mi rimane che segnare in agenda una data utile per ritornare, magari in compagnia dell’amico Silvano Paiola, bravissimo fotografo e guida perfetta per questi monti che conosce a menadito.

  • Mi avete Scotch…ato!

    Mi avete Scotch…ato!

    scotchQuante volte è capitato di utilizzare la nostra fotocamera in condizioni meteo o ambientali proibitive? A me succede, ogni tanto. Se sono fuori per foto, lontano dai centri abitati e vengo sorpreso da un acquazzone, non ho molte alternative: o la prendo, o la prendo. Però, a parte raffreddore, tosse, polmonite e (a lungo termine) artrite, non rischio molto. L’attrezzatura fotografica, invece, se bagnata come Natura comanda, corre seri rischi. Si può andare dal malfunzionamento o, peggio, totale decesso delle componenti elettroniche, alle muffe su lenti e fotocamera. Questo può accadere anche se i corpi macchina e gli obiettivi sono tropicalizzati e quindi progettati e costruiti per operare in condizioni estreme.

    Ci sono diverse soluzioni per ovviare a questi inconvenienti: si può rimanere a casa sotto le coperte; è possibile ricorrere ad un ombrello, se avete tre mani oppure siete quel fotografo del National Geographic che dice di essere in grado di scattare con un parapioggia in mano (ma lui 1] è figo 2] scatta con quelle macchinette da street che sembrano sottratte dalla casa di Barbie e Ken e costano come la casa di Donald Trump, mica con un ambaradan da svariati chili come faccio io); oppure potete utilizzare una di quelle protezioni in materiale plastico, di diverse dimensioni, qualità e prezzo che si trovano sul web con prezzi che vanno da pochi euro a svariate decine. Si tratta, indubbiamente, di una soluzione valida, facilmente trasportabile nello zaino fotografico, che è opportuno considerare.

    C’è anche un altro accorgimento, low cost, che è possibile adottare per proteggere i punti “sensibili” della nostra attrezzatura da schizzi d’acqua (quella salata del mare è un vero killer, poi), umidità in genere e polvere: il nastro adesivo, lo scotch (termine improprio ma universale mutuato da una marca famosa). Ovviamente non sto parlando di un nastro adesivo normale, perché i residui di colla che potrebbero rimanere sulle superfici coperte sarebbero una vera calamità. Mi riferisco ad un nastro adesivo particolare, prodotto dalla 3M®, che ha il notevole pregio di non lasciare alcuna traccia di collante nemmeno dopo parecchie ore di permanenza, persino sotto il sole. Essendo morbosamente geloso della mia attrezzatura, sono stato molto scettico all’inizio e prima di utilizzarlo su macchina ed obiettivi ho fatto alcune prove, lasciando sotto il sole estivo oggetti di materiale vario “scotchati” con questo nastro. Effettivamente il prodotto ha mantenuto le promesse e nemmeno un filino di collante è rimasto sulle varie superfici testate. Tutto bene, dunque? Quasi. Questo nastro adesivo è molto difficile da reperire e può essere facilmente confuso con altri prodotti similari ma non equivalenti; quello che ho usato io ho dovuto mandarlo a prendere negli U.S.A. ma, capite bene, il gioco non vale la candela. Fortunatamente ho trovato un altro prodotto che svolge egregiamente il medesimo compito e con risultanti altrettanto lusinghieri: si chiama “Nastro per mascheratura – Precision Outdoor”, è un prodotto della ditta Tesa® ed è di semplice reperibilità e costo abbordabilissimo.

    Con questo prodotto è possibile “tappare” i punti critici durante una sessione fotografica in riva al mare con spruzzi assassini di salsedine o in montagna con la nuvoletta fantozziana che ci segue come un cagnolino fedele: sportellino dei contatti, sportellino del vano batteria, baionetta dell’obiettivo, ghiere dell’obiettivo stesso, fessure del flash incorporato, eccetera. Ah, va bene anche per oscurare il mirino quando si fanno le lunghe esposizioni su treppiede per evitare infiltrazioni di luce indesiderata dallo stesso.

    Insomma, può essere un valido alleato per la “salute” della nostra attrezzatura e anch’esso, come gli altri 32 chili di materiale che abbiamo nello zaino fotografico, non pesa e occupa poco spazio.

    Solo un chiarimento: non sono sponsorizzato da alcuno dei marchi o prodotti citati (mi piacerebbe, eh) ma mi pare doveroso condividere questi piccoli “aiutini” con coloro che nutrono la mia stessa passione. Se poi, invece che azzurro, si mettessero a produrlo di colore bianco, sarebbe il massimo, per me. Ma qui sto divagando negli accostamenti sportivo-cromatici e non c’entra nulla con l’intento dell’articolo.

     

  • Cattedrale di legno

    Cattedrale di legno

    cattedrale-di-legno

    Lo ammetto, è una fissazione mia: la ricerca della nitidezza ad ogni costo.

    Ho cercato, nei limiti del possibile (n.d.r.: leggi “portafoglio”) di acquistare un corpo macchina e degli obiettivi che mi garantissero determinate prestazioni e mi sono documentato sugli accorgimenti da adottare per ottenere i risultati desiderati.

    Tutto sommato posso dire di essere abbastanza soddisfatto delle mie scelte e dei risultati che – non sempre, purtroppo – riesco a raggiungere.

    Però c’è un problemino: un amico, guardando la foto del post, mi ha giustamente fatto notare che determinati scatti non richiedono una nitidezza esasperata, a tutti i costi; anzi, nel caso specifico, uno sviluppo che mantenga una certa “morbidezza”, restituisce l’atmosfera fiabesca, sognante, del momento (a proposito: mica male i boschi di pioppi della Bassa con nebbiolina e solo filtrante, eh?).

    Detto, fatto. Spero di averlo accontentato, perché aveva ragione.

  • Déjà vu

    Déjà vu

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    Esistono soggetti che vengono fotografati continuamente, li abbiamo già visti in tutte le salse. Però noi non lo abbiamo mai fatto, non abbiamo uno scatto di quel particolare soggetto. E quando ci capita l’occasione o quando, semplicemente, decidiamo di colmare la lacuna, cerchiamo tutti i modi possibili per evitare di essere ovvii, ripetitivi. Cerchiamo di scattare ad un orario insolito, magari anche di notte, per ottenere un tipo di illuminazione originale; consultiamo fino allo sfinimento le previsioni meteo per sfruttare un particolare evento atmosferico, magari prima, dopo o anche – temerariamente e, oserei dire, avventatamente – durante un temporale; studiamo di utilizzare una lente che ci offra una focale insolita, come un grandangolo da posizione ravvicinata o un teleobiettivo per comprimere i piani; giriamo in lungo ed in largo (se il luogo lo consente) per ottenere una inquadratura insolita, innovativa, appunto. Insomma, cerchiamo in tutti i modi di essere originali. Non sempre è possibile, però.

    Questa mattina ho pensato bene di fare qualche scatto alla stazione ferroviaria Mediopadana di Reggio Emilia, la bellissima struttura progettata dall’architetto spagnolo Calatrava; sono partito animato da intenzioni bellicose, con tutto l’armamentario al seguito e ripassando mentalmente durante il tragitto tutta la letteratura fotografica divorata fino ad ora.

    Quando sono tornato, ed ho sviluppato i miei scatti, mi sono reso conto che non erano migliori delle centinaia che avevo visto ma nemmeno peggiori di molti di essi. E allora? E allora ho deciso che, essendo foto fatte con la mia testa e con la mia macchina fotografica, originali o no, sono comunque le mie foto e, brutte (probabile) o belle che siano, tant’è.

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