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  • Frammenti d’Autunno

    Frammenti d’Autunno

    Mah, ci sono quelle volte che prendo la macchina fotografica e parto, ma senza troppa convinzione. Il cielo così così, la prospettiva di fare una decina di chilometri a piedi nel bosco fangoso dopo le abbondanti piogge e l’acqua di piena del Po che inizia a salire, nessun volontario che abbia il buon cuore di accompagnarmi, nemmeno il cane che, se fosse per lui, verrebbe a gambe levate ma è periodo di caccia e non credo proprio che sia il caso.

    Però parto ugualmente, stivali al ginocchio e pettorina giallo fluo: non devo cambiare una gomma nel bosco ma mi serve perché qualche doppietta che non accetta di tornare a carniere vuoto non cambi i connotati a me. Mi porto solo la macchina ed un obiettivo, l’adorato zoom tuttofare 16-35, un paio di filtri e l’indispensabile treppiede, visto che la luce scarseggia e i tempi rapidi di scatto saranno una chimera.

    Vado nella zona di golena vicina al Po, la piena è imminente, in alcune zone un po’ più in basso l’acqua sta già avanzando silenziosa ma inesorabile, in lontananza si sente il ruggire del gigante d’acqua.  Con somma gioia vedo che alcuni frammenti d’Autunno sono rimasti: non tutte le piante sono spoglie e, anzi, alcune  hanno conservato piacevolissime note di colore. Da una macchia parte a razzo un capriolo emigrato dall’Appennino: riesco a malapena a fotografarlo con gli occhi, figuriamoci se ce la faccio con la fotocamera.

    Poi esce il sole, che per pochi attimi illumina e colora quei particolari che cerco maldestramente di fotografare. E d’un tratto dimentico fatica, umidità, il fango che mi tappezza. E non mi pento di essere uscito.

  • La casetta per gli uccellini

    La casetta per gli uccellini

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    E’ una passione recente quella della caccia fotografica, una curiosità che sto cominciando a togliermi e che mi permette di cambiare prospettiva di scatto: paesaggi ogni tanto in pausa, macro momentaneamente in sospeso e vai di tele. Mi sono anche attrezzato un pochino alla bisogna: una macchina DX (APS-C su Canon), la Nikon D500 con sensore che è circa 2/3 di un sensore full frame ovvero della pellicola 35mm, per evitare l’uso del moltiplicatore di focale e un obiettivo tele, il 200-500mm Nikkor che, manco a dirlo, uso sempre “inchiodato” a 500 mm.

    La materia prima? Non posso permettermi leoni, elefanti o zebre e ho ripiegato – per modo di dire, sto scherzando – sulla avifauna; nella zona in cui vivo, grazie alla prossimità dei fiumi Po, Oglio e Mincio nonché  alla presenza di numerosi specchi e corsi d’acqua artificiali le occasioni non mancano; sempre in zona, poi, c’è una splendida oasi naturale della LIPU, quella di Torrile-Trecasali, ben tenuta, con comodi capanni di appostamento e una varietà incredibile di specie.

    casetta-uccelliniPerò non sempre mi è possibile spostarmi ed ho quindi pensato di seguire l’esempio di altri cacciatori fotografici che il set se lo sono costruiti in casa o, meglio, in giardino. Mi sono letto un po’ di esperienze altrui, ho fatto un po’ di valutazioni sullo spazio di cui dispongo ed ho costruito un posatoio nella parte più tranquilla del mio piccolo giardino. Oddio, non è stata un’opera titanica: un paio di pali di pino conficcati il più profondamente possibile nel terreno, due rami mendicati al mio vicino che aveva appena potato una pianta e fissati trasversalmente, una casetta di legno non trattato (acquistata on-line) con serbatoio per il cibo, due trespoli e un tetto amovibile per proteggere il cibo stesso dalla pioggia e rifornire la dispensa quando necessario. Ho piazzato il tutto un mese fa, prima che iniziasse la stagione fredda, in modo da far gradualmente abituare gli uccellini che frequentano il giardino al nuovo “intruso”. Ho acquistato in un negozio di animali una confezione di semi misti, per attirare gli uccellini granivori, e una di insetti essiccati per gli insettivori come il pettirosso. Ho preso mangime di qualità, non di dubbia provenienza, per ovvi motivi. A proposito: se volete usare le briciole del pane, ogni tanto, fate attenzione a sminuzzarle finemente, perché se sono troppo voluminose potrebbero soffocare il pennuto che se ne ciba o, ancora meglio, non usatele del tutto: non sono nutrienti per gli uccellini e danno loro un falso senso di sazietà che mal si addice al bisogno calorico necessario a combattere i rigori della stagione invernale. Inoltre: affidatevi al mangime solo nella brutta stagione, durante la quale i volatili fanno una fatica tremenda a reperire ciò di cui si nutrono e, a causa della temperatura fredda, perdono moltissime calorie in breve tempo. E non scordate mai di rifornire le mangiatoie: per noi si tratta di una semplice dimenticanza; per gli uccellini, ormai abituati a trovare il cibo in prossimità posatoio, può trattarsi di morte certa.

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    In primavera, indicativamente tra marzo ed aprile, è necessario sospendere i rifornimenti alimentari, perché in natura torna disponibile il cibo abituale e i neonati devono abituarsi a reperirlo in autonomia, senza trovare la pappa pronta. Insomma: per noi è un divertimento ed un piacere, per i nostri amici pennuti può trattarsi di vita o di morte. Quindi estrema attenzione. Vi ricordo anche di provvedere alla sicurezza del luogo di ristoro: i gatti vengono sicuramente attratti dal movimento e qualcosa che impedisca a loro di salire sui pali di sostegno sarebbe utile: ho letto  in rete che basta applicare dei coni rovesciati di plastica o metallo che pare siano efficaci anche per i topolini golosi.

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    I risultati? Cominciano pian piano ad arrivare: qualche oretta di appostamento e ho già avuto il privilegio di vedere attraverso l’obiettivo un pettirosso ed una cinciallegra; c’è qualcosa d’altro che comincia a gironzolare ma è ancora talmente diffidente che fotografarlo mi è stato impossibile.

    La soddisfazione? Tantissima.

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  • Acqua sopra, acqua sotto

    Acqua sopra, acqua sotto

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    Non esiste buono o cattivo tempo, ma solo buono o cattivo equipaggiamento.” è un aforisma di Robert Baden-Powell, il fondatore degli Scouts, quanto mai di attualità in questo periodo dell’anno. Ed aveva ragione, grosso modo. Non è il caso di farsi scoraggiare da un meteo così così per uscire per foto, anzi.

    Ci sono situazioni particolari in cui il cielo parzialmente nuvoloso, la presenza di pioggerella che lava la polvere estiva e contribuisce a rendere brillanti i colori molto più di quanto accada in una giornata di sole battente, il venticello di ispirazione siberiana che tiene lontani i rompi… , volevo dire, il venticello fresco che accarezza le ultime foglie rimaste sui faggi, insomma, dicevo, in queste situazioni è addirittura preferibile andare in certi luoghi a far foto.

    Esempio? Il Lago Santo nell’Appennino parmense. In un angolino c’è un torrente immissario che, poco prima di fondere le sue acque con il lago, forma alcune cascatelle incastonate in grossi massi, su molti dei quali si è formato un muschio (? mi serve un botanico) che definire verde brillante è un eufemismo; le foglie verdi, gialle ed arancio cadute qua e là impreziosiscono la vista con macchie di colori vivaci. E se tutto ciò lo vedessimo sotto un sole brillante sarebbe, sì, bello, ma nulla di paragonabile all’atmosfera dell’autunno.

  • 35mm

    35mm

     

    Ci sono momenti in cui avverto il desiderio di rallentare, di lasciare da parte per un attimo la frenesia della fotografia digitale e tornare all’analogico, al tangibile, al ponderato, anche per riannodare i fili di un discorso abbandonato troppo presto.

    Ho già raccontato altrove come io abbia iniziato a dedicarmi alla fotografia nel 2012 ma, in realtà, si sia trattato di un re-inizio, perché molti (molti) anni fa avevo già provato a tenere in mano una fotocamera analogica, con pochissima cognizione di causa, con meno ancora perizia e piano piano la spinta iniziale si era esaurita: mancanza di stimoli, di sostegno esterno e, perché no, difficoltà a gestire un hobby costoso.

    Non ero messo malissimo ad attrezzatura, anzi: avevo una Yashica Fx 103, uno zoom tuttofare Tamron (non ricordo focali e caratteristiche tecniche) ed un gioiellino che avrei fatto  meglio a conservare, col senno di poi: un 105mm Zeiss (anche qui la memoria vacilla). Allora utilizzavo i rullini per diapositive ma non era stata una gran scelta, per difficoltà tecniche intrinseche e sempre per costi di gestione.

    Insomma, ho mollato tutto in breve tempo.

    Ma, evidentemente, il tarlo non era stato debellato del tutto perché, pochi mesi dopo aver acquistato la mia prima macchina digitale, ho cominciato a gironzolare sui mercatini dell’usato alla ricerca di una macchina analogica ed ho trovato una Nikon F100. Al primo utilizzo è stata come una scossa elettrica: caricare il rullino, ponderare le impostazioni dello scatto, attendere lo sviluppo dei negativi dal laboratorio, sono passi che mi hanno riportato al volo indietro nel tempo.

    Siccome però ho la testa dura e sono anche un poco fissato con le condizioni degli oggetti che uso, la F100 con il dorso appiccicaticcio che mi rilevava le impronte digitali ad ogni scatto mi lasciava insoddisfatto, e sono partito alla ricerca di una macchina nuova, sempre Nikon per poter sfruttare le ottiche che già possedevo per il digitale ed ho avuto la fortuna sfacciata di trovare una Nikon F6 nuova di zecca, imballata, perfetta.

    Il resto è storia recente: ho fatto una piccola scorta di rullini che conservo gelosamente in frigo, in zona cassetta della verdura e, ogni tanto, accendo la macchina del tempo e faccio un salto nel passato.

    Del resto credo proprio di essere in buona compagnia: navigando per il web, mi rendo conto che esistono un buon numero di siti dedicati alla fotografia analogica e di forum di appassionati della pellicola, pagine su cui trovo informazioni decisamente utili, una delle cose che mi era maggiormente mancata alla prima esperienza.

  • Luoghi magici

    Luoghi magici

    badignana_02Esistono luoghi che abbiamo frequentato mille volte ma in cui, per un motivo o per un altro, amiamo ritornare più volte. Io li chiamo i luoghi magici. D’accordo, è un appellativo forse esagerato, ma in questo momento non mi viene in mente una definizione migliore.

    Ecco, per me la Piana di Badignana è uno di questi luoghi magici. Ci sono già stato in tantissime occasioni: in inverno con la neve che arrivava all’inguine, in primavera a guardare estasiato la moltitudine infinita di crochi che bucavano l’ultima neve, in estate a godere del trionfo verde dei faggi, di notte a fotografare le stelle. Ovviamente ci sono stato anche in autunno, perché i boschi, se il calore estivo è stato clemente,  sono colorati da far male al cuore.

    Ci sono stato anche pochi giorni fa. E’ un periodo “ibrido”, la siccità estiva prima e poi i primi venti gelidi che scendono inclementi dai crinali hanno totalmente spogliato le piante. Addio foliage, ma non ci speravo nemmeno, ad essere sincero.

    Ma la sensazione di magia rimane. Sarà perché l’assenza del chiassoso turismo della bella stagione restituisce al luogo il silenzio millenario, rotto solo dallo scrosciare dei ruscelli che scendono a valle, dal canto dei pochi uccellini temerari, dal sussurrare sommesso del vento che mi informa che dal crinale arrivano nuvole cariche d’acqua o della prima neve. Sarà perché qui ho visto talmente tanta bellezza che l’effetto si prolunga nel tempo.

    Sarà perché è un luogo magico.

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  • Preso!

    Preso!

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    Sono da solo nel capanno della riserva LIPU. Sarà perché fuori c’è foschia e a tratti pioviggina, ma questa domenica mattina, contrariamente al solito, non c’è la solita ressa di fotografi ad occhieggiare dalle feritoie verso lo specchio d’acqua.

    Io sono venuto ugualmente perché solo stare qui, nel tranquillo silenzio del parco, mi dona un senso di pace impagabile. Però sto giusto cominciando a pensare che hanno avuto ragione loro, quelli che sono rimasti sul divano, questa mattina, perché non si muove penna. E invece.

    E invece il silenzio è rotto da un fischio breve ed acuto; solo il tempo di posare la mano sulla fotocamera ed eccolo, 40 grammi di penne e determinazione, il Martin Pescatore (iniziali maiuscole d’obbligo). Si piazza sul ramo a filo d’acqua davanti al capanno e, contrariamente alle altre poche occasioni in cui si è fatto vedere per alcuni secondi, permettendomi solo di scattare un paio foto sfocate, ci rimane. E comincia a guardarsi attorno, a mettersi di profilo per far capire ad eventuali simili che questo è il suo territorio, mi gira le spalle come per mostrarmi gli splendidi motivi colorati delle penne del dorso, poi si mette di fronte e sono convinto che mi veda. Ma non scappa: un’occhiata all’acqua, muove la testa avanti ed indietro, come un cenno di assenso (in realtà sta valutando l’esatta posizione della preda) e poi giù a capofitto nello stagno, sarebbe un 10 netto in una votazione da gara di tuffi; pochi secondi e rieccolo, con un pesciolino stretto nel becco, uno dei molti che catturerà in giornata.

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    Questo bellissimo cerimoniale si ripeterà altre due volte nel giro di un paio d’ore e sono stato felice di avere fra le mani la D500 della Nikon con un buffer da ammiraglia.
    Ma, ancor di più, sono felicissimo perché finalmente l’ho “preso”.
    D’accordo, lo sfondo delle foto non è proprio da National Geographic e le tonalità sono influenzate dal grigiore dominante e dall’aria non proprio trasparente, ma per adesso va benissimo così.

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  • Ritorno a Braies

    Ritorno a Braies

    Prima neve su Braies

    Non è la prima volta che vado sulle rive del Lago di Braies. Ci sono già stato in diversi periodi estivi, ho già provato a fare alcune foto ma, malgrado il bel pezzettino di strada che devo fare per raggiungerlo, ci torno non spesso ma volentieri.

    E’ però la prima volta che lo visito in questo momento dell’Autunno e posso dire che ne è valsa la pena. Già arrivare e trovare parcheggio nelle immediate vicinanze del lago è una conquista non indifferente. Vedere le sue rive, poi, popolate di pochissimi turisti (altissima percentuale di fotografi, fra l’altro) al contrario di quanto accade nella “bella” stagione è consolante; non fraintendetemi, non sono misantropo, non tanto almeno. E’ che avere l’orizzonte scarsamente popolato è decisamente vantaggioso, soprattutto in fase di post produzione. In più i giorni precedenti, quella che in pianura era stata acqua, qui era diventata neve, contribuendo a spruzzare cime montuose ed alberi come quelli di un presepe ben fatto. Infine le loro maestà, i larici, si presentavano nella loro veste più spettacolare, creando un favoloso contrasto con il verde profondo  dei pini.

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    Tutto bene, quindi? Quasi. Il cielo è stato sempre un poco velato dalle nubi, concedendo rarissimi sprazzi di sole e costringendomi ad operare scelte compositive obbligate e cioè la deliberata esclusione totale o quasi del cielo stesso nelle fotografie. Lo so, non è la prima volta che questa situazione mi capita; anzi, direi che quando si organizza una trasferta impegnativa, è quasi la regola. Dispiace solo un pochino.

    Ho fatto tutto con un unico obiettivo, il fedele tuttofare paesaggistico Nikkor 16-35 f/4, perché volevo girare leggero, perché avevo anche il cane al seguito e perché, sono sincero, non mi fidavo molto delle previsioni meteo.

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    Comunque, bene o male, è andata. Tra l’altro, in uno dei giorni di permanenza in Sud Tirolo, ho avuto modo anche di visitare un posticino niente male, che merita sicuramente una replica: la zona della Malga di Fane, che si raggiunge con un sentiero denominato “La via del latte” o per una strada carrabile talmente ripida che mette a durissima prova anche auto attrezzate alla bisogna. Sia il sentiero che l’insediamento sono decisamente spettacolari. Purtroppo il meteo era ancora peggiore del giorno prima a Braies e quindi ho portato a casa solo robetta.

    Amen, ci si torna sicuramente.

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  • Save the memory (card)

    Save the memory (card)

    xqdLe schede di memoria, di qualsiasi tipo o capienza, sono un complemento essenziale per le nostre fotocamere digitali. La sempre maggiore risoluzione dei sensori, la possibilità di effettuare scatti in sequenza o, addirittura, di registrare video ad alta definizione, ci impongono di acquistare schede di capacità e velocità di registrazione sempre maggiori. Facendo lievitare, di conseguenza, anche i costi.

    Le schede di memoria, però, non sono eterne e la loro durata è direttamente legata ai cicli di scrittura e ad un utilizzo oculato.

    Cosa possiamo fare per curare il corretto funzionamento delle schede ed evitare quanto più possibile la perdita di (per noi) preziosissimi dati?

    La prima cosa che mi sento di suggerire è di non esagerare con la capacità delle schede; è vero che vengono immesse ogni giorno sul mercato schede sempre più capienti, ma personalmente preferisco dotarmi di quattro schede da 16 Gb anziché una sola da 64 Gb; se dovesse danneggiarsi una scheda da 16 Gb perderei molti meno dati (foto) di quelli eventualmente contenuti in una scheda di capacità maggiore.

    Inoltre, un numero maggiore di schede, mi consentirà di razionalizzare il loro uso, impiegandole a rotazione nella fotocamera.

    Altra avvertenza: non cancellate la singola foto mentre la scheda è inserita in macchina. Molto meglio terminare la serie di scatti, scaricare le foto nel computer (o nel vostro supporto di backup) e solo dopo operare una formattazione rapida della scheda nella fotocamera. Questo accorgimento prolungherà di molto la vita media dei vostri supporti.

    Una cosa da non fare assolutamente è quella di rimuovere la scheda mentre la fotocamera sta eseguendo delle operazioni di scrittura su di essa. Questa regola vale per i personal computer e, di conseguenza, anche per le macchine fotografiche che, ormai, sono piccoli pc a tutti gli effetti. Togliere una scheda di memoria mentre la fotocamera accede in scrittura o lettura ad essa è il miglior modo per giocarsi la scheda stessa.

    Banale, ma giova ricordare che mille volte è stato detto di non lasciare materiale elettronico esposto a temperature elevate (vogliamo parlare dei cruscotti delle auto?); ciò è valido ovviamente anche per le schede di memoria.

    A volte può succedere che una scheda venga inavvertitamente bagnata; è sufficiente asciugarla esternamente con un fazzoletto pulito e poi lasciarla asciugare con pazienza in un contenitore ermetico in cui avremo messo una bustina di silica-gel (facilmente reperibile nei negozi di elettronica o di fotografia) o, in mancanza, un bel pugno di riso. Discorso diverso se la scheda ci cade inavvertitamente in acqua salata: occorre lavare accuratamente la scheda con acqua dolce (meglio se distillata) e ripetere le operazioni di asciugatura già dette. Detto fra noi: se bagno una SD, cerco di salvarla per l’uso immediato, ma alla prima occasione la pensiono e la sostituisco con una nuova.

    Assolutamente validi sono i suggerimenti che si leggono anche sulle confezioni delle schede di memoria: non piegare, non lasciar cadere o non forzare la scheda stessa, soprattutto quando la si estrae o la si inserisce negli alloggiamenti di funzionamento. Prestare anche attenzione a non riporre in tasca una scheda non protetta da una confezione apposita: il contatto accidentale con un oggetto metallico (le chiavi dell’auto?) con i contatti della scheda stessa è deleterio. Anche toccare gli stessi terminali della scheda con le dita non è opportuno.

    Ultimo accorgimento, e non ditemi che sono maniaco: prima di toccare la scheda per estrarla dalla fotocamera o dal computer, mi premuro di toccare un muro o il pavimento; così facendo mi metto “massa a terra” e non rischio di trasferire scosse elettrostatiche alla scheda stessa.

  • Per chi scatta l’otturatore?

    Per chi scatta l’otturatore?

    Braies' boat

    E’ una cosa che ogni tanto capita di chiedermi.

    E’ normale che un fotografo professionista scatti principalmente per la sua clientela, sia questa commerciale o privata; così come ci sta che, nell’era di Facebook-Twitter-Instagram-Snapchat-Whatsapp, tantissime persone scattino per apparire, per “esserci” ed ottenere approvazione (likes, cuoricini, eccetera) dai propri contatti social.

    E il fotografo dilettante come me?

    Sono giunto alla conclusione che, se non sono foto destinate a familiari/amici o che, comunque, registrino eventi importanti di cui tenere memoria, io scatto essenzialmente per me stesso, forse per tenere una traccia temporale di eventuali miglioramenti e, magari, darmi qualche pacca sulla spalla da solo. Tanto è vero che questo blog non ha velleità di prima pagina Google e nemmeno inserzioni pubblicitarie; è solo un comodo diario elettronico su cui registrare immagini e pensieri. E ogni tanto condivido le sue pagine sui social per rendere partecipi gli amici del mio tribolare.

    Questo lungo preambolo per arrivare a cosa? Nulla di particolare. Solo che è la seconda volta che mi capita di condividere una foto scattata (e scartata) parecchio tempo fa ed è la seconda volta che ottengo consensi insperati e superiori al solito (stiamo sempre parlando di numeri comodamente gestibili dagli arti umani).

    Da tutto questo sproloquio, ne consegue che (sempre secondo il mio opinabilissimo parere): a) non sempre ciò che è gradito a noi può piacere ad altre persone; e viceversa b) mai, mai, mai cestinare una foto che nell’immediato non ci soddisfa pienamente; conviene lasciarla sul disco fisso e andarla a ripescare tempo dopo, anche parecchio, perché potremmo ricavarne qualche sorpresina c) se una foto “ripescata” continua a non piacerci, significa che faceva schifo veramente.

  • Sciopero dei trasporti

    Sciopero dei trasporti

    Ho voluto provare. Non ero convintissimo dei sistemi mirrorless (almeno per il tipo di fotografia che prediligo) ma mi sembrava stupido non provarli.

    Ho colto la palla al balzo (alcuni giorni in montagna durante le ferie estive) e sono partito con una Olympus OM-D E-M10 Mark II (Micro 4/3) e un solo obiettivo l’Olympus M. Zuiko 17mm f/2.8 Pancake (Micro 4/3) che, rapportato al sistema 35mm corrisponde grosso modo ad un 34mm di focale. L’intenzione era quella di arrampicarmi sui sentieri senza la zavorra di una fotocamera da oltre un chilo e l’uno o più obiettivi (di peso equivalente) che porto solitamente con me con la speranza di riuscire ugualmente a portare a casa qualche scatto passabile.

    Sugli scatti passabili lasciamo perdere, tanto è solo colpa mia. Ma sul sistema mirrorless le sensazioni sono positive. Tenuto conto della mia totale inesperienza sull’utilizzo di questo sistema, mi sono piaciute sicuramente alcune prerogative: prima di tutto – anche se è scontato – il peso; non mi è sembrato vero arrivare ai rifugi senza pestare sulla lingua, è veramente esaltante sapere di avere nello zaino una macchina fotografica ad obiettivi intercambiabili senza che questo significhi portarsi a spasso qualche chilogrammo di elettronica. Altro aspetto interessate è, a mio giudizio, la buona profondità di campo ottenibile anche a diaframmi relativamente “aperti”, tipo f/5.6 o f/8; per contro trovo interessante lo sfocato ottenibile a tutta apertura (pur con i limiti dell’obiettivo utilizzato), ma qui ci devo lavorare bene perché è molto particolare, secondo me. La qualità dei files grezzi (i .raw della Olympus si chiamano .orf) credo sia molto buona anche se temo che sia necessario usare il software proprietario Olympus di sviluppo dei .raw (al momento Olympus Viewer 3)  per una prima lavorazione e poi esportare un file .tiff per le successive elaborazioni in Lightroom o Photoshop; ma anche qui invoco il beneficio del dubbio e i giudizi di chi ne sa enormemente più di me.

    Insomma, alla fine ho ceduto. Ne sono felice, e mi riprometto di “fare le pulci” seriamente a questo sistema fotografico. Se non altro, sempre in riferimento al peso, al momento sono felicissimo di poter portare sempre con me una fotocamera di buona qualità, per far fronte alle “emergenze” fotografiche.

    In futuro cambierò l’attuale attrezzatura DSLR? Non credo proprio (volevo scrivere “manco morto” ma era decisamente fuori luogo), almeno nell’immediato. Piuttosto mi accomoderò sulla riva del fiume (c’è una ressa, qui…) ed aspetterò sviluppi da mamma Nikon, un po’ per partito preso ed un po’ perché, malgrado il sistema micro 4:3 sia molto evoluto, la disponibilità e la varietà (mi sparate se dico anche la qualità?) di obiettivi del sistema 35mm è tutt’ora ineguagliata. Inoltre: non ho le mani come badili, ma mi trovo a disagio con una fotocamera ammirevolmente dotata di numerosi controlli fisici sul corpo ma che faccio fatica a settare “alla cieca”; se dovesse uscire una mirrorless con il corpo macchina di una full frame, beh, sarò il primo ad interessarmene.  Senza contare che passare da un sistema fotografico ad un altro, comporta indubbiamente un “bagno di sangue” che la mia qualifica di amatore non giustifica.

     

  • Ci sono un airone, una garzetta e una nitticora…

    Ci sono un airone, una garzetta e una nitticora…

    airone-cinerino_01Non è l’inizio di una barzelletta, ma è la fine di un  giretto mattutino per i canali della campagna circostante.

    Non sono scatti indimenticabili (per un fotografo naturalista serio), ma per me che sono alle prime armi sono comunque fonte di soddisfazione.

    Garzetta_01Ma quello che mi preme rimarcare è che, contrariamente ad altri scatti simili fatti con una fotocamera full frame, Nitticora_01questi li ho fatti con una macchina con sensore FX (per Nikon, Canon usa la dicitura APS-C). Mi sono incuriosito perché ho come la sensazione che sia meglio usare questo formato per la caccia fotografica. Già è interessante poter sfruttare il fattore di moltiplicazione del sensore formato ridotto (una volta e mezza per Nikon): un obiettivo 200mm opera come se si trattasse di un 350mm (conteggi a spanne) e questo, per esempio, può consentire di evitare l’uso del moltiplicatore di focale, il cosiddetto teleconverter, che riduce la luminosità dell’obiettivo.  Ovviamente mi riservo di verificare con calma e, soprattutto, chiedere a chi ne sa più di me, ma il tarlo è all’opera.

    A margine: è emozionante fare qualche chilometro in auto, senza viaggi transoceanici, ed avere la fortuna di poter osservare e fotografare queste meraviglie della natura.

     

  • Il vento nel grano

    Il vento nel grano

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    Meglio che mi tolga subito lo sfizio: amo questo scatto, nella sua scarna semplicità la ritengo una delle foto migliori che io abbia mai scattato fino ad ora. Opinione assolutamente personale eh, ci mancherebbe altro, suscettibile di critiche, anche spietate.

    E non è stato uno scatto problematico, “si è fatto da solo”. C’è stato solo un problema… Il problema non è stato decidere che foto scattare, quella ce l’avevo già in testa ed ho solo dovuto cercare il punto più adatto per farlo. Il problema non è stato valutare la differenza di gamma dinamica nelle varie parti dell’immagine (per quello c’è anche San Sensore da Sony che veglia premuroso) malgrado il non utilizzo di filtri di compensazione della luminosità. Il problema non è stato nemmeno cercare di ottenere la foto sufficientemente nitida evitando il micromosso nonostante  lo scatto in manuale, senza treppiede.

    Il problema maggiore è stato non farsi pescare dal contadino mentre gli calpestavo il grano (il meno possibile, giuro: ho proceduto in punta di piedi che manco Nureyev…) per entrare in una delle chiazze create dal vento e dalle piogge.