E’ da poco tempo che mi dedico (anche) alla fotografia naturalistica e dovendo fare i conti con le mie disponibilità di tempo ed altre più prosaiche, cerco di sfruttare al meglio le possibilità che mi sono offerte dalla fauna che popola le nostre zone . Quindi: se qualcuno non mi suggerisce i sei numerini magici vincenti, niente Serengeti e, men che meno, Yellowstone.
Nei giorni scorsi ho avuto l’occasione di visitare un bellissimo sito in cui nidificano i gruccioni, grazie ad un laboratorio fotografico organizzato dall’amico Luca Giordano, fotografo naturalista piemontese. Si è trattato di una piacevolissima scoperta, soprattutto per me che fino ad ora avevo sempre e soltanto ammirato questi splendidi volatili in foto.
Il gruccione, conosciuto anche come merope, è un uccello esile e coloratissimo: ha il dorso rosso-arancio, le parti inferiori sono blu e verdi, la gola è di un bel giallo acceso e una banda nera parte dal becco e attraversa la zona degli occhi. Comunque fate più alla svelta ad aprire una scatola di pastelli colorati e ve ne farete un’idea. Il becco è sottile, lungo e leggermente arcuato. L’adulto può raggiungere una lunghezza di 25-29 cm ed ha una apertura alare che arriva anche a 40 cm.
Si nutre di insetti: il suo nome inglese è Bee-eater cioè “mangiatore di api” anche se, in realtà, il gruccione si nutre di diversi tipi di insetti alati, come vespe, bombi, coleotteri, libellule e quindi non solo api; generalmente le prede velenose, prima di essere ingoiate, vengono sfregate su un ramo per togliere il pungiglione ed eliminare il veleno. Per cacciare individua la preda da un posatoio e si lancia rapidamente in volo per la cattura. In una giornata un gruccione può arrivare a nutrirsi di più di 200 insetti.
Sono uccelli migratori: passano l’Inverno nella zona tropicale dell’Africa e in Primavera raggiungono il sud-ovest dell’Europa ed alcune zone dell’est europeo. In Italia è molto presente nella Pianura Padana, nelle zone collinari e lungo la costa Adriatica. I gruccioni si riproducono generalmente in colonie, a volte anche molto numerose; ogni coppia depone e custodisce dalle 5 alle 8 uova, al sicuro in lunghi cunicoli (dai 2 ai 4 metri) scavati nelle scarpate dei corsi d’acqua, in cave di sabbia o arenaria abbandonate, a volte anche verticalmente nel terreno. Verso la fine dell’estate i gruccioni con i nuovi nati al seguito, fanno ritorno in Africa.
Ed è appunto una di queste colonie che ho avuto il privilegio di visitare, ammirando queste meraviglie da un capanno vicinissimo ai luoghi di cova ma, nello stesso tempo non invasivo, per non disturbare in alcun modo le nidiate, cosa che potrebbe portare persino al loro abbandono.
Per quel che riguarda le problematiche legate alla tecnica, in realtà il discorso è semplice: quando si posano per consumare una cattura o per adocchiarne un’altra, possono essere fotografati abbastanza agevolmente; discorso diverso se si prova a fotografarli quando entrano od escono dal nido per l’alimentazione dei neonati: sono schegge colorate e, almeno a causa della mia scarsissima esperienza, affatto semplici da ritrarre (ma questa è una sfida per il futuro).
Come attrezzatura ho utilizzato quello che offre il convento, ovvero una Nikon D500 per sfruttare raffica di scatto, buffer infinito e fattore di moltiplicazione associata al Nikkor 200-500 f/5.6; alcuni scatti “in posa” me li sono potuti permettere anche con la più lenta Nikon D800E, per avere files con l’indubbia qualità del sensore full frame. Tempi di scatto (e ISO di conseguenza) dettati dal contesto: con i gruccioni posati e tranquilli ho potuto utilizzare anche tempi lunghi ed ISO bassi, ma per l’accesso al nido tempi anche brevissimi (e imbranatura personale) non mi hanno regalato scatti puliti.
Come a dire: ottima scusa per ritornare.
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