Piazza XXIII Aprile a Pomponesco è bellissima. E’ talmente bella che è stata utilizzata anche per le riprese dello sceneggiato tv “Ligabue” del 1977 (la sceneggiatura era di Cesare Zavattini).
E i portici che le fanno da corona non sono da meno.
Forse sono di parte, perché sono i portici della mia infanzia.
Qui ho trascorso tantissimo tempo, dagli zii materni, complici i pressanti impegni lavorativi dei miei genitori.
Qui sono stato felice, perché sono i portici che ospitavano il negozio del fornaio, dalla vetrina invitante per gli occhi e con il profumo invitante per la gola, in cui la zia mi comprava la focaccia per la colazione del mattino; da questi portici spiavo speranzoso le giostre della fiera di Santa Felicita (nomen omen) ed i miei occhi convincevano – senza troppa fatica, a dire la verità – lo zio ad acquistarmi i gettoni per l’autoscontro o un gioco sulle numerose bancarelle. Sotto questi portici il nonno mi portava a passeggio come se fossi un trofeo, mostrando con malcelato orgoglio il suo nipote ai conoscenti.
Sotto questi portici ho trascorso anche una adolescenza spensierata e, tutto sommato, formativa, quando lavoravo – naturalmente gratis – come dj (oggi si dice speaker radiofonico, ma puzza di sintetico) a Radio Po, al tempo delle cosiddette “radio libere”. Allora si faceva tutto da soli: si era conduttori, registi e pure telefonisti. Non c’erano le stanze di trasmissione insonorizzate moderne. O meglio: c’era una sorta di insonorizzazione fatta incollando alle pareti i contenitori di cartone delle uova (chi ha la mia età sa perfettamente di cosa si tratta), ma mandavamo tutto a farsi benedire tenendo spalancata la finestra sulla piazza, da cui entrava il cinguettio degli uccelli, il vociare delle “spose”, il martellìo delle campane e anche qualche “aficionado” che, invece di telefonare, trovava più pratico passare davanti alla finestra e… “Mi metti ‘On the road again’ dei Rockets?“.
Sotto questi portici sono tornato questa sera, con la macchina fotografica. Ad un certo punto è passata una signora anziana, camminando piano ed appoggiandosi al bastone. Mi ha visto ed ha esclamato, in dialetto: “Al ma scüsa, fursi a’ gava mia da pasar, l’è dre futugrafar…” (Mi scusi, forse non dovevo passare, sta fotografando…). Le ho detto di passare tranquillamente e di non preoccuparsi.
Era uguale a mia madre, che adesso guarda i portici della sua Pomponesco da un punto di vista privilegiato.
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