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  • Mamiya RB67 Pro SD

    Mamiya RB67 Pro SD

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    Altrove ho spiegato la mia esigenza di prendermi alcune pause dal digitale e “tornare” a fotografare in analogico, con una fotocamera a pellicola 35mm, una Nikon F6 per la precisione.

    Ecco, poiché le scimmie tecnologiche girano sempre in coppia, ho pensato bene di alleggerire un poco l’attrezzatura analogica ed affiancare alla suddetta F6 una macchina più gestibile, meno ingombrante e pesante: la Mamiya RB67 Pro SD.

    Sto scherzando, la RB67 non è grossa e pesante. Di più. Sono due chili, seicento grammi e rotti di metallo, vetro e plastica (poca). Ed è grande, cavolo se lo è.

    E’ una fotocamera cosiddetta “medio formato” che utilizza le pellicole a rullino tipo 120 e 220 e con la quale è possibile ottenere negativi in formato 6×7 (il formato base) ma anche il 6×4,5 oppure il 6×8, senza trascurare (ammesso di trovarlo) il 7×7 su pellicola istantanea tipo Polaroid.

    Inutile dirlo: volume e peso la “battezzano” come macchina da studio, ma se si è dotati di ferrea volontà e spalle buone, nulla vieta di portarsela in giro per paesaggi, tenendo in considerazione che è assolutamente necessario abbinarla ad un treppiede degno di questo nome e non una di quelle cineserie ballerine che troppo spesso girano attaccate agli zaini dei paesaggisti.

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    Come è fatta? E’ il classico cubo modulare a cui devono essere collegati i diversi accessori indispensabili al suo funzionamento: l’obiettivo, un pozzetto che rivela lo schermo di messa a fuoco, un dorso porta pellicola; nel corpo sono contenuti specchio riflettente e soffietto che serve per la messa a fuoco. Sulla destra della fotocamera c’è la grande leva che serve per il riarmo del sistema specchio-otturatore ma, per avanzare la pellicola, occorre affidarsi ad una seconda leva che si trova sul magazzino pellicola; la messa a fuoco avviene attraverso due manopole (una per lato) che fanno avanzare un soffietto vicino al quale c’è una tabella che indica le distanze di messa a fuoco riferite agli obiettivi montanti in macchina ed il valore di compensazione da applicare in base all’estensione del soffietto; sulla parte anteriore c’è la piastra di aggancio delle ottiche (metallo puro, Deo gratias) con i collegamenti che attivano l’otturatore che, cosa che alla digital generation suonerà stranissima, è contenuto in ogni singolo obiettivo; il pulsante di scatto si trova sempre anteriormente in basso a destra ed è filettato per consentire il collegamento di uno scatto remoto. La cosa più bella, secondo me, è sul retro della macchina: il dorso rotante; essendo il formato 6×7 (o il 6X8) rettangolare, è possibile scattare foto in formato verticale od orizzontale non ruotando la fotocamera (esercizio a dir poco problematico) ma ruotando, appunto, il contenitore della pellicola. Mica male, vero? Nel mirino sono presenti due serie di linee parallele che aiutano il fotografo a individuare i bordi dell’inquadratura. Avviso ai naviganti: non si rischia di rimanere “a piedi” perché è tutto meccanico, non servono batterie, tant’è vero che non è compreso nemmeno l’esposimetro; a tal proposito consiglio caldamente di acquistarne uno esterno, magari che disponga di misurazione spot: io l’ho trovato in Giappone (!!!), un Sekonic L-408 Multimaster usato ma tenuto maniacalmente (credo di aver trovato uno più “sofistico” di quanto lo sia io…).

    Impressioni d’uso? Forse è un po’ presto, ho fatto solo un paio di rullini di prova, ma la sensazione che si ricava dall’utilizzo della RB67 è piacere puro: l’iniziale idea di complessità viene ben presto sostituita dalla soddisfazione di usare una macchina ben studiata in tutte le sue componenti e rapidamente si prende dimestichezza con la necessità di usare due leve per avanzare la pellicola ed armare l’otturatore, da subito ci si abitua alle manopole di messa a fuoco e, dopo un po’ di uso, si è letteralmente entusiasti del gigantesco schermo di messa a fuoco e del dorso portapellicola che ruota. L’otturatore non è rumorosissimo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare considerata la quantità di vetro e metallo che si muove al suo scatto: diciamo che si fa notare.

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    E le foto? Eh, per quelle servirebbe prima di tutto un fotografo serio, sicuramente non io. Comunque ho fatto alcune scansioni digitali di scatti di prova (con pellicola Kodak Portra 160 e 400) e devo dire che…

    Beh, date voi stessi un’occhiata.

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  • 35mm

    35mm

     

    Ci sono momenti in cui avverto il desiderio di rallentare, di lasciare da parte per un attimo la frenesia della fotografia digitale e tornare all’analogico, al tangibile, al ponderato, anche per riannodare i fili di un discorso abbandonato troppo presto.

    Ho già raccontato altrove come io abbia iniziato a dedicarmi alla fotografia nel 2012 ma, in realtà, si sia trattato di un re-inizio, perché molti (molti) anni fa avevo già provato a tenere in mano una fotocamera analogica, con pochissima cognizione di causa, con meno ancora perizia e piano piano la spinta iniziale si era esaurita: mancanza di stimoli, di sostegno esterno e, perché no, difficoltà a gestire un hobby costoso.

    Non ero messo malissimo ad attrezzatura, anzi: avevo una Yashica Fx 103, uno zoom tuttofare Tamron (non ricordo focali e caratteristiche tecniche) ed un gioiellino che avrei fatto  meglio a conservare, col senno di poi: un 105mm Zeiss (anche qui la memoria vacilla). Allora utilizzavo i rullini per diapositive ma non era stata una gran scelta, per difficoltà tecniche intrinseche e sempre per costi di gestione.

    Insomma, ho mollato tutto in breve tempo.

    Ma, evidentemente, il tarlo non era stato debellato del tutto perché, pochi mesi dopo aver acquistato la mia prima macchina digitale, ho cominciato a gironzolare sui mercatini dell’usato alla ricerca di una macchina analogica ed ho trovato una Nikon F100. Al primo utilizzo è stata come una scossa elettrica: caricare il rullino, ponderare le impostazioni dello scatto, attendere lo sviluppo dei negativi dal laboratorio, sono passi che mi hanno riportato al volo indietro nel tempo.

    Siccome però ho la testa dura e sono anche un poco fissato con le condizioni degli oggetti che uso, la F100 con il dorso appiccicaticcio che mi rilevava le impronte digitali ad ogni scatto mi lasciava insoddisfatto, e sono partito alla ricerca di una macchina nuova, sempre Nikon per poter sfruttare le ottiche che già possedevo per il digitale ed ho avuto la fortuna sfacciata di trovare una Nikon F6 nuova di zecca, imballata, perfetta.

    Il resto è storia recente: ho fatto una piccola scorta di rullini che conservo gelosamente in frigo, in zona cassetta della verdura e, ogni tanto, accendo la macchina del tempo e faccio un salto nel passato.

    Del resto credo proprio di essere in buona compagnia: navigando per il web, mi rendo conto che esistono un buon numero di siti dedicati alla fotografia analogica e di forum di appassionati della pellicola, pagine su cui trovo informazioni decisamente utili, una delle cose che mi era maggiormente mancata alla prima esperienza.

  • Save the memory (card)

    Save the memory (card)

    xqdLe schede di memoria, di qualsiasi tipo o capienza, sono un complemento essenziale per le nostre fotocamere digitali. La sempre maggiore risoluzione dei sensori, la possibilità di effettuare scatti in sequenza o, addirittura, di registrare video ad alta definizione, ci impongono di acquistare schede di capacità e velocità di registrazione sempre maggiori. Facendo lievitare, di conseguenza, anche i costi.

    Le schede di memoria, però, non sono eterne e la loro durata è direttamente legata ai cicli di scrittura e ad un utilizzo oculato.

    Cosa possiamo fare per curare il corretto funzionamento delle schede ed evitare quanto più possibile la perdita di (per noi) preziosissimi dati?

    La prima cosa che mi sento di suggerire è di non esagerare con la capacità delle schede; è vero che vengono immesse ogni giorno sul mercato schede sempre più capienti, ma personalmente preferisco dotarmi di quattro schede da 16 Gb anziché una sola da 64 Gb; se dovesse danneggiarsi una scheda da 16 Gb perderei molti meno dati (foto) di quelli eventualmente contenuti in una scheda di capacità maggiore.

    Inoltre, un numero maggiore di schede, mi consentirà di razionalizzare il loro uso, impiegandole a rotazione nella fotocamera.

    Altra avvertenza: non cancellate la singola foto mentre la scheda è inserita in macchina. Molto meglio terminare la serie di scatti, scaricare le foto nel computer (o nel vostro supporto di backup) e solo dopo operare una formattazione rapida della scheda nella fotocamera. Questo accorgimento prolungherà di molto la vita media dei vostri supporti.

    Una cosa da non fare assolutamente è quella di rimuovere la scheda mentre la fotocamera sta eseguendo delle operazioni di scrittura su di essa. Questa regola vale per i personal computer e, di conseguenza, anche per le macchine fotografiche che, ormai, sono piccoli pc a tutti gli effetti. Togliere una scheda di memoria mentre la fotocamera accede in scrittura o lettura ad essa è il miglior modo per giocarsi la scheda stessa.

    Banale, ma giova ricordare che mille volte è stato detto di non lasciare materiale elettronico esposto a temperature elevate (vogliamo parlare dei cruscotti delle auto?); ciò è valido ovviamente anche per le schede di memoria.

    A volte può succedere che una scheda venga inavvertitamente bagnata; è sufficiente asciugarla esternamente con un fazzoletto pulito e poi lasciarla asciugare con pazienza in un contenitore ermetico in cui avremo messo una bustina di silica-gel (facilmente reperibile nei negozi di elettronica o di fotografia) o, in mancanza, un bel pugno di riso. Discorso diverso se la scheda ci cade inavvertitamente in acqua salata: occorre lavare accuratamente la scheda con acqua dolce (meglio se distillata) e ripetere le operazioni di asciugatura già dette. Detto fra noi: se bagno una SD, cerco di salvarla per l’uso immediato, ma alla prima occasione la pensiono e la sostituisco con una nuova.

    Assolutamente validi sono i suggerimenti che si leggono anche sulle confezioni delle schede di memoria: non piegare, non lasciar cadere o non forzare la scheda stessa, soprattutto quando la si estrae o la si inserisce negli alloggiamenti di funzionamento. Prestare anche attenzione a non riporre in tasca una scheda non protetta da una confezione apposita: il contatto accidentale con un oggetto metallico (le chiavi dell’auto?) con i contatti della scheda stessa è deleterio. Anche toccare gli stessi terminali della scheda con le dita non è opportuno.

    Ultimo accorgimento, e non ditemi che sono maniaco: prima di toccare la scheda per estrarla dalla fotocamera o dal computer, mi premuro di toccare un muro o il pavimento; così facendo mi metto “massa a terra” e non rischio di trasferire scosse elettrostatiche alla scheda stessa.

  • Lettore dati Nikon MV-1

    Lettore dati Nikon MV-1

     

    Nikon MV-1Exchangeable image file format (abbreviazione Exif) dovrebbe essere la definizione di quella serie di dati (ora, data, modello e produttore della macchina e dell’obiettivo, apertura, tempo di scatto, lunghezza focale, eccetera) che le fotocamere digitali “scrivono” in uno scatto fotografico.

    Dovrebbe.

    In realtà è anche il nome di un’orrenda malattia, incurabile temo, che affligge chiunque scatti fotografie digitali. Alzi la mano chi, davanti ad uno scatto bellissimo, al confine con l’arte, non si sia limitato a chiedere all’autore cosa ha visto mentre scattava, com’era la luce, cosa voleva riprodurre ma “…e con che macchina l’hai fatta? Puoi postare i dati Exif?…”. E se, per caso, la risposta è: “L’ho fatta con la pellicola, è una scansione da negativo.” si scatena nell’inquisitore una crisi allergica, con eruzioni cutanee e febbre alta.

    Ecco, appunto. E se scattiamo con la pellicola?

    Non sono informato per altri marchi o modelli di macchine fotografiche ma, se avete una Nikon F100, una F5 oppure una F6, potreste essere interessati al lettore di dati Nikon MV-1.

    E’ un dispositivo che consente di trasferire su una scheda di memoria Compact Flash, formattata con il file system FAT, i dati memorizzati dalle suddette fotocamere e copiare il file in formato CSV ottenuto su un qualsiasi personal computer importandolo in un foglio di calcolo (tipo Microsoft Excel).

    Il procedimento è piuttosto semplice, anche se deve essere eseguito rispettando cronologicamente tutti i passi necessari (questa è la procedura che seguo per la Nikon F6, ma è praticamente identica per le altre due):

    • controllare che nella fotocamera non ci sia il rullino (sul contafotogrammi comparirà il simbolo E) e che le batterie abbiano carica a sufficienza;
    • spegnere la fotocamera;
    • collegare il lettore alla macchina tramite il cavetto con morsetto a 10 pin;
    • inserire la Compact Flash (formattata) nello slot del lettore MV-1;
    • accendere la macchina fotografica
    • premere il pulsante dell’MV-1; la spia luminosa verde inizierà a lampeggiare e, a trasferimento avvenuto, rimarrà a luce fissa per sei secondi prima di spegnersi; se la spia luminosa rossa non ha dato segni di vita durante il trasferimento, significa che tutto è andato per il verso giusto, che i dati sono sulla scheda e che sono stati contemporaneamente cancellati dalla memoria della macchina fotografica;
    • spegnere la fotocamera, rimuovere la scheda Flash dal lettore e scollegare il lettore stesso dalla macchina fotografica.

    Il procedimento per l’importazione dei dati nel foglio di calcolo per la visualizzazione è altrettanto semplice: è sufficiente fare riferimento alle istruzioni del software in uso; per Microsoft Excel occorre:

    • scegliere “Apri” dal menù “File”
    • impostare il tipo di file su “File di testo” e scegliere il file da importare (generalmente: “nikon_dr”, “F6”, “ID012”, “n00001.txt”);
    • selezionare il file tipo “Delimitati”
    • nei delimitatori selezionare “Virgola” ed eliminare gli altri segni di spunta; il campo “Qualificatore di testo” deve essere impostato con “nessuno”;
    • impostare i formati delle varie colonne: tranne la colonna che contiene le date e che deve , ovviamente, essere settata sul formato “Data”, le altre si impostano con il formato “Testo”;
    • cliccare su “Fine” ed inizia l’importazione dei dati.

    Tutto qui, lunghetto ma non complicato. In compenso avremo a disposizione: velocità (ISO) della pellicola, numero pellicola, ID fotocamera, numero fotogramma, tempo di otturazione, apertura, lunghezza focale, diaframma massimo, sistema di misurazione, modalità di esposizione, modalità sincronizzazione flash, valore compensazione esposizione, differenza valore d’esposizione in Manuale, valore compensazione esposizione flash, impostazione speedlight, esposizione multipla, blocco esposizione, riduzione vibrazioni, data in formato aa/mm/gg, ora e stampa dati.

    A questo punto, se qualcuno vi pone la suddetta fatidica richiesta “…Puoi postare i dati Exif?…”, ora potrete stupirlo inviandogli via mail il file che soddisferà le sue domande esistenziali.

    Un consiglio? Trattandosi di macchina analogica e rullino fotografico, io rimarrei in tema inviandogli una stampa cartacea del file tramite la posta ordinaria.

    Con francobollo rigorosamente leccato.

  • Non sono stato io

    Non sono stato io

    Premesso che quello che scrissi in “Ciao Mondo” è assolutamente ancora valido ed attuale, volevo informarvi che a partire da oggi e fino alla metà di dicembre, grazie alla squisita ospitalità dell’amica Susanna Nicoli del  Bar Chrysopolis (pagina Facebook) a Parma in Strada Quarta 6/1c, avrò l’onore di esporre alcuni scatti fotografici realizzati “nella fettaccia di terra” fra la pianura della Bassa mantovana ed i boschi dello splendido Appennino Parmense.

    Passo, arrossisco e chiudo.

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  • Mi avete Scotch…ato!

    Mi avete Scotch…ato!

    scotchQuante volte è capitato di utilizzare la nostra fotocamera in condizioni meteo o ambientali proibitive? A me succede, ogni tanto. Se sono fuori per foto, lontano dai centri abitati e vengo sorpreso da un acquazzone, non ho molte alternative: o la prendo, o la prendo. Però, a parte raffreddore, tosse, polmonite e (a lungo termine) artrite, non rischio molto. L’attrezzatura fotografica, invece, se bagnata come Natura comanda, corre seri rischi. Si può andare dal malfunzionamento o, peggio, totale decesso delle componenti elettroniche, alle muffe su lenti e fotocamera. Questo può accadere anche se i corpi macchina e gli obiettivi sono tropicalizzati e quindi progettati e costruiti per operare in condizioni estreme.

    Ci sono diverse soluzioni per ovviare a questi inconvenienti: si può rimanere a casa sotto le coperte; è possibile ricorrere ad un ombrello, se avete tre mani oppure siete quel fotografo del National Geographic che dice di essere in grado di scattare con un parapioggia in mano (ma lui 1] è figo 2] scatta con quelle macchinette da street che sembrano sottratte dalla casa di Barbie e Ken e costano come la casa di Donald Trump, mica con un ambaradan da svariati chili come faccio io); oppure potete utilizzare una di quelle protezioni in materiale plastico, di diverse dimensioni, qualità e prezzo che si trovano sul web con prezzi che vanno da pochi euro a svariate decine. Si tratta, indubbiamente, di una soluzione valida, facilmente trasportabile nello zaino fotografico, che è opportuno considerare.

    C’è anche un altro accorgimento, low cost, che è possibile adottare per proteggere i punti “sensibili” della nostra attrezzatura da schizzi d’acqua (quella salata del mare è un vero killer, poi), umidità in genere e polvere: il nastro adesivo, lo scotch (termine improprio ma universale mutuato da una marca famosa). Ovviamente non sto parlando di un nastro adesivo normale, perché i residui di colla che potrebbero rimanere sulle superfici coperte sarebbero una vera calamità. Mi riferisco ad un nastro adesivo particolare, prodotto dalla 3M®, che ha il notevole pregio di non lasciare alcuna traccia di collante nemmeno dopo parecchie ore di permanenza, persino sotto il sole. Essendo morbosamente geloso della mia attrezzatura, sono stato molto scettico all’inizio e prima di utilizzarlo su macchina ed obiettivi ho fatto alcune prove, lasciando sotto il sole estivo oggetti di materiale vario “scotchati” con questo nastro. Effettivamente il prodotto ha mantenuto le promesse e nemmeno un filino di collante è rimasto sulle varie superfici testate. Tutto bene, dunque? Quasi. Questo nastro adesivo è molto difficile da reperire e può essere facilmente confuso con altri prodotti similari ma non equivalenti; quello che ho usato io ho dovuto mandarlo a prendere negli U.S.A. ma, capite bene, il gioco non vale la candela. Fortunatamente ho trovato un altro prodotto che svolge egregiamente il medesimo compito e con risultanti altrettanto lusinghieri: si chiama “Nastro per mascheratura – Precision Outdoor”, è un prodotto della ditta Tesa® ed è di semplice reperibilità e costo abbordabilissimo.

    Con questo prodotto è possibile “tappare” i punti critici durante una sessione fotografica in riva al mare con spruzzi assassini di salsedine o in montagna con la nuvoletta fantozziana che ci segue come un cagnolino fedele: sportellino dei contatti, sportellino del vano batteria, baionetta dell’obiettivo, ghiere dell’obiettivo stesso, fessure del flash incorporato, eccetera. Ah, va bene anche per oscurare il mirino quando si fanno le lunghe esposizioni su treppiede per evitare infiltrazioni di luce indesiderata dallo stesso.

    Insomma, può essere un valido alleato per la “salute” della nostra attrezzatura e anch’esso, come gli altri 32 chili di materiale che abbiamo nello zaino fotografico, non pesa e occupa poco spazio.

    Solo un chiarimento: non sono sponsorizzato da alcuno dei marchi o prodotti citati (mi piacerebbe, eh) ma mi pare doveroso condividere questi piccoli “aiutini” con coloro che nutrono la mia stessa passione. Se poi, invece che azzurro, si mettessero a produrlo di colore bianco, sarebbe il massimo, per me. Ma qui sto divagando negli accostamenti sportivo-cromatici e non c’entra nulla con l’intento dell’articolo.

     

  • L’emozione in mostra

    L’emozione in mostra

    mostra_02E’ andata.

    Era forte l’emozione per l’apertura della mostra “La fotografia paesaggistica: un modo per scoprire e vivere la biodiversità” al Casinetto dei Boschi di Carrega. Misha Cattabiani è ormai abituato a queste vigilie, è il suo lavoro e penso che ormai sia vaccinato, così come Erik Concari che, seppur assente, non ci ha fatto mancare il suo sostegno. Ma per me, Luca Bocedi, Francesco Zecca e Vincenzo Florio, un po’ di tremolio c’era.

    Poi è cominciata. Le persone hanno iniziato ad affluire, ad osservare, a fare domande, commenti e – meno male – anche complimenti. E senza che ce accorgessimo è arrivata l’ora di chiudere. Si replicherà per due sabati e due domeniche, sino al 13 aprile prossimo.

    Sarò scontato, ma a questo punto mi pare doveroso ringraziare Misha per avermi coinvolto, insieme agli amici di cui dicevo prima, in questa avventura fotografica. E’ stata una esperienza stimolante e formativa, soprattutto per un novellino come me. Un ringraziamento anche ai responsabili dell’Ente Parchi dell’Emilia Occidentale, che hanno suggerito il lavoro, dimostrando di avere le idee chiare sul da farsi per promuovere queste meravigliose oasi di natura, storia ed arte.

    Solo conoscendo la bellezza che ci circonda, possiamo aver a cuore la sua conservazione.

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    (Foto di Misha Cattabiani e Serena Ghiretti)

  • Mostra fotografica “La fotografia paesaggistica”

    Mostra fotografica “La fotografia paesaggistica”

    Dal 30 marzo prossimo al 13 aprile, si terrà, presso il Centro Parco Casinetto dei Boschi di Carrega, una mostra fotografica a cura di Misha Cattabiani, alla quale parteciperò – insieme ad alcuni amici compagni di scorribande fotografiche in Appennino Emiliano – in veste di ospite.

    Vi riporto il comunicato stampa di presentazione:

    locandina“La fotografia paesaggistica: un modo per scoprire e vivere la biodiversità”. Mostra fotografica con inaugurazione domenica 30 marzo al Casinetto Boschi di Carrega.

    Nel titolo della mostra si colgono i punti sui quali ho lavorato nel curare e organizzare la mostra: la fotografia come mezzo per scoprire e vivere la biodiversità. La fotografia non è solo uno strumento per avere delle foto-ricordo o per svolgere un proprio percorso artistico di ricerca estetica sul paesaggio, ma può anche essere un mezzo per scoprire le caratteristiche e differenze ambientali del territorio.

    Nell’organizzare la mostra, ho voluto coinvolgere i migliori partecipanti dei workshop fotografici di paesaggio che organizzo da quattro anni in Appennino. Ho voluto far si che una possibile mia personale potesse diventare una collettiva, per poter quindi dare “voce” in questa esposizione non solo alle mie foto ma anche a fotografie di persone che mettono non solo il proprio impegno ma anche il loro amore in questa attività che se svolta in un certo modo diventa a tutti gli effetti arte.

    La mostra è composta da circa una quarantina di fotografie e le persone coinvolte, oltre al sottoscritto, sono: Erik Concari (assistente fotografo dei miei workshop), Luca Bocedi (vincitore del contest-workshop “L’acqua e i colori autunnali”, curatore grafico della mostra), Sergio Marcheselli (vincitore del contest-workshop “Il paesaggio innevato”), Francesco Zecca (vincitore del contest-workshop “Il Lago Santo Parmense”), Vincenzo Florio.

  • Piccole (grandi) soddisfazioni

    Piccole (grandi) soddisfazioni

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    Non raccontiamoci frottole: i riconoscimenti al nostro lavoro o alle nostre passioni sono sempre graditissimi e ci ripagano di impegno e sacrifici. Nel mio caso, ovviamente, non si tratta di lavoro bensì del mio hobby preferito: la fotografia.

    E proprio in questi giorni sono arrivate un paio di sorpresine sinceramente non preventivate: un mio scatto effettuato durante uno dei workshops organizzati nello splendido scenario dell’Appennino parmense dal fotografo Misha Cattabiani è stato il più votato da tutti i partecipanti ai suddetti workshops tenutisi nel corso del 2013, malgrado fossero molte le foto meritevoli di questo riconoscimento scattate dai miei compagni di scarpinate fotografiche. E già questo bastava ed avanzava. Invece in serata, tornando a casa, ho trovato nella cassetta della posta una pubblicazione di Nikon Italia, il libro fotografico Nikon Forum Photo Contest 2013; subito ho pensato ad un regalo della casa giallonera per tutti i clienti; invece, sfogliandolo, ho avuto la gioia immensa di trovare pubblicato un mio scatto effettuato a Mantova, sul lungolago, lo scorso gennaio. Ecco, considerando la qualità degli altri scatti pubblicati in questo libro, faccio un po’ di fatica a capire che caspita ci fa la mia foto lì. Ma ne prendo atto e sono veramente felice.

    E ringrazio tutte le persone che hanno avuto la bontà di regalarmi queste soddisfazioni.

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  • Workshop fotografici

    Workshop fotografici

    sergio_101Pur avendo già provato a fare foto nel passato (remoto) e malgrado, da circa un anno, io abbia ripreso in mano la reflex, fino al 3 febbraio di quest’anno non avevo mai avuto occasione di partecipare ad un workshop fotografico. Se devo dirla tutta, ero un po’ scettico nei confronti di queste attività;  non perché mi considerassi già un fotografo fatto e finito, anzi, tutto il contrario. Però ero abbastanza restio ad iscrivermi ad uno dei numerosissimi workshop che vengono organizzati un po’ dappertutto, in ogni stagione e, duole dirlo, un po’ da chiunque.

    Poi, casualmente, facendo ricerche sul web riguardo ad una cascata del torrente Parma, ho trovato il nome di Misha Cattabiani, fotografo in Parma (non dentro al torrente…) e sul suo sito web ho scoperto che organizza periodicamente dei workshop fotografici tematici nei luoghi che prediligo per i miei scatti, cioè fra i boschi dell’Appennino parmense. Un po’ per curiosità ed un po’ per il gusto di fare una ciaspolata nella neve in compagnia di altri appassionati di fotografia, mi sono iscritto e, col senno di poi, posso affermare che è stato un vero peccato non averlo fatto prima.

    A parte la professionalità di Misha e del suo collaboratore Erik Concari nel tenere le “lezioni” di teoria, ho apprezzato moltissimo la loro affabilità e simpatia. E, cosa che non guasta visto il contesto, ho anche imparato diverse cosette. Intendiamoci: essendo un vero divoratore di libri, manuali e pubblicazioni fotografiche, molte cose mi erano note; però il rischio noia è stato scongiurato dal programma di istruzione e sentirsi ripetere da persone competenti determinate parti teoriche, ottenere spiegazioni su alcuni punti oscuri o male interpretati e cercare di applicare immediatamente, sul campo, la teoria, ha un’altra valenza.

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    Fra gli aspetti positivi, poi, c’è da considerare anche la possibilità, a cui accennavo poc’anzi, di entrare in contatto con altri appassionati fotografi e, anche da questo punto di vista, posso dire che l’esperienza del 3 febbraio è stata sicuramente appagante, avendo fatto conoscenza con alcune persone veramente simpatiche ed appassionate.

    Tutto rose e fiori? No. La prossima volta – e ci sarà una prossima volta il 14 aprile  – dovrò prendere una decisione drastica: o metto meno attrezzatura fotografica nello zaino o noleggio un mulo.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    Foto di Misha Cattabiani e Erik Concari

  • Serenità di giudizio

    Serenità di giudizio

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    Appena rientriamo da una sessione fotografica, la prima cosa che facciamo è infilare la SD nel computer per scaricare le immagini scattate e iniziamo immediatamente a visualizzarle con Lightroom o Photoshop. Man mano che facciamo scorrere i nostri scatti iniziamo immediatamente ad operare una selezione: cestiniamo senza rimpianti quelli inutilizzabili (solo un paio di accidenti se si tratta di scatti unici), cerchiamo di recuperare quelli che presentano qualche difetto ed apprezziamo quelli che ci soddisfano.

    Raramente, però, ci esaltiamo per qualche immagine riuscita bene. Questo non perchè siamo dei mostri di modestia; semplicemente intuiamo che una determinata foto “funziona”, ha delle potenzialità, ma abbiamo bisogno di ricevere conferme del nostro giudizio iniziale da altre persone. Il passo successivo è la condivisione sui siti social più diffusi: Flickr, Facebook, 500px e così via; qui non mancheranno certamente gli apprezzamenti, anche perchè pigiare un “mi piace” tanto per far piacere al conoscente o all’amico, costa pochissimo. Ma non credo che questo ci possa soddisfare pienamente.

    Sentiamo la necessità ricevere un giudizio più “competente”, magari sottoponendo il nostro lavoro a circoli fotografici o forum di discussione specializzati. Il problema però, è che, ogni giorno, vengono caricate in rete milioni di immagini ed è molto complicato ottenere la visibilità necessaria.

    E allora? Rimane solo un’ultima risorsa: avere la pazienza e l’umiltà di confrontare i nostri scatti con quelli di altri fotografi – non necessariamente o non unicamente con i maestri dell’immagine – e crearci uno spirito critico che ci permetta di giudicare il nostro lavoro con la stessa severità che utilizzeremmo per il lavoro degli altri. Il solo atto di porsi la fatidica domanda “Ma come ha fatto?” oppure ammettere che “Le mie foto non vengono come queste, dov’è che sbaglio?” è un notevole progresso.

  • Ciao Mondo!!

    Ciao Mondo!!

    Ciao Mondo!!

    Forse un poco pretenzioso come saluto…

    Da Wikipedia: Hello, world! (in italiano “Ciao, mondo!”) è una locuzione riferibile all’informatica: è infatti la scritta stampata a video dal primo programma di esempio scritto in linguaggio di programmazione C, all’inizio del libro Il Linguaggio C degli informatici Brian Kernighan e Dennis Ritchie. La versione corrente non è quella originale: in principio era solo “hello, world”, senza maiuscola e punto esclamativo, che sono entrati nella tradizione solo in seguito.

    Ma le intenzioni sono buone e l’umiltà ai massimi livelli storici.