Categoria: Paesaggio

  • Nascosto

    Nascosto

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    Capita di passare su un ponte attraversato decine di volte e con la coda dell’occhio vedi qualcosa che non ti aspettavi, qualcosa che non hai mai visto (o guardato).

    Capita che sei in un centro abitato, capita che tutto intorno ci sia degrado,  anche umano, purtroppo.

    Capita che l’uomo abbia sporcato in tutti i modi possibili queste acque e queste rive.

    Ma capita anche che la Natura sia forte e ti regali l’ennesima poesia autunnale che, solo per un attimo, un clic, ti fa dimenticare tutto ciò che c’è attorno.

    Capita.

     

     

  • L’attesa

    L’attesa

    _sph3769… “Era autunno. Le colline rosseggiavano come alte fiamme per le selve di castagni che infoltivano le loro groppe; la pigra terra pareva dormisse sotto una coperta leggera di foglie.
    Sulle aie le donne sfogliavano il granoturco giallo.
    Gli uomini risciacquavano, al pozzo colmo d’acqua chiara, i cesti usati per la vendemmia.
    Un odore frizzante di vino nuovo, come profumo di violette, si spandeva per l’aria.
    Questo profumo rende il vino più dolce al palato – disse Beppe bevendo un bicchiere di vino spillatò da una botticella.
    Il sole era calato dietro le pinete verdi e le erbe alte, timide, si erano tinte di giallo.
    Le foglie secche si erano fermate sui rami: gli alberi sembavano attendere, pazientemente, che il vento li spogliasse e concedesse loro il lungo riposo dell’inverno.. Anche il canto degli uccelli si era spento sulle cime degli alberi.”…

    “Campagna d’Autunno” – Lorenzo Viani

     

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  • La leggenda del larice ambizioso

    La leggenda del larice ambizioso

    _sph3689-modificaDicono i trentini che il larice attiri il fulmine, quindi, guai ripararsi sotto un larice quando c’è un temporale. Il perché della predilezione del fulmine per questa pianta viene dai montanari di Lavazè spiegato con la leggenda che vi narro.

    C’era una volta lassù un larice; un bel larice giovane, verde, con tante fronde tenere che lo vestivano a festa lussuosamente. Egli si credeva il più bel larice del mondo, destinato a diventare chi sa che! Nell’inverno, quando la neve gli bordava d’ermellino la veste, assumeva un aspetto regale, pareva un candelabro, una torciera d’altare, un tabernacolo, qualcosa di grandioso e di solenne… Nella primavera, quando il sole lo puliva, luccicava con tutti i suoi aghi messi a nuovo, pronti a pungere e a graffiare, né l’estate lo ingialliva né l’autunno lo sfiorava.

    Era il prediletto della fata dei boschi o egli si credeva tale, e aveva un contegno così sdegnoso che gli scoiattoli non osavano scalarlo, né gli uccelli fabbricavano il nido tra i suoi rami. Eppure lo avevano tentato, lo sapete?

    – Il vero valore si riconosce anche tra la folla – gli diceva la madre scrollando le fronde, ma era fiato buttato.

    Quel larice pazzo si sentiva destinato a un’esistenza d’imperatore, e moriva di sbadigli, nella terra natia, costretto a viverci una vita uniforme pettegola in una promiscuità ingiuriosa. Il muschio gli si arrampicava sul tronco senza neppure chiedergli il permesso e pretendendo anzi gratitudine perché lo scaldava e lo vestiva! E l’edera che gli succhiava la linfa dicendo che non poteva staccarsi da lui perché  l’amava troppo e sarebbe morta di dolore, lontana da lui, e le radici dei compagni che si univano alle sue avvincendole, incuranti delle sue proteste!

    Il tasso, e il grillo, e le bestiole litigiose che stridevano e urlavano sotto le sue finestre di giorno e di notte, e più di notte che di giorno, senza nessun riguardo per le sue meditazioni e il risposo! E madonna marmotta che all’appressarsi dell’inverno si scavava la tana tra le sue radici, minandone le basi…

    C’era di che spazientire un santo! In quella repubblica democratica egli si sentiva troppo aristocratico: aristocratico ogni giorno più. E perciò guardava in alto, in alto, sulle vette nude dei monti, e sospirava pensando alle cose belle che ci dovevano essere al di là. Lo chiese al vento, che cosa vedeva oltre le cime, sull’altro versante,

    Cammina, cammina, com’era pesante! Egli credeva di camminare lievemente come tutte le bestie a due, a quattro zampe e invece ogni passo gli costava una fatica mortale, ma pur di allontanarsi dal luogo natìo, avrebbe lasciato la vita, e non si fermava neppure a gettare uno sguardo di rimpianto al lembo di terra dov’era nato e cresciuto, e dove lasciava la mamma, i fratelli… ma su, balzelloni verso la vetta. Che fatica!

    – Oh! – rideva la luna all’insolito spettacolo. – Di cose ne ho viste tante da che abito in cielo, ma di larici che camminano non ne ho visti mai.

    – Sono contento di essere il primo – rispose il larice bilioso.

    Allora nessuno parlò più ed egli giunse in cima in un gran silenzio, accompagnato soltanto dal sibilo del vento che non lo temeva e non cessava di burlarlo: – E adesso? E adesso?

    – Adesso, – rispose il larice respirando di sollievo poiché la vetta era raggiunta – adesso il mio sogno è compiuto; sono solo e domino i greggi dei pini e dei larici e degli abeti di tutto il mondo, e poiché ho conquistato il posto più alto, mi proclamo il loro re. – E piantò con fierezza le radici nel suolo. I pini, i larici e gli abeti guardarono in su, e risero di quella bravata, dicendogli: – In alto può abitare soltanto chi non soffre di vertigini, altrimenti si rischia di precipitare in basso irrimediabilmente.

    Venne infatti l’inverno, e il larice ebbe freddo, e soffrì tutte le torture della inclemenza degli elementi, e gli scherzi del ghiaccio, e le sferzate della tormenta, ma sarebbe morto piuttosto che tornare al bel tepore che nonostante le intemperie proteggeva la comunità delle altre piante nel bosco dove era nato. Poi l’inverno passò, e dopo la primavera clemente, sopraggiunse l’estate e il vento ritornò a dargli buffetti sbarazzini sulla cima, esortandolo a tornare al suo bosco dove tutti l’attendevano per ripararlo dai raggi insopportabili del sole che l’avrebbero bruciato fino alle radici; ma il larice rifiutò di ascoltarlo e ripeté: – Pensa ai fatti tuoi, messer vento, e io penso ai miei. – Poi quando la vampa del sole divenne insopportabile e si abbatté tutta su di lui che si ergeva così solo sulla vetta del monte, incominciò a bruciare di sete, a infebbrarsi e a gridare: – Ho sete, ho sete! Nuvole abbiate pietà di me, regalatemi un poco di pioggia, non lasciate morire il re delle piante. – Le nuvole ne ebbero pietà, e raccoltesi in gruppo pensarono di combinare un po’ di temporale e chiamarono in aiuto i tuoni e i fulmini.

    I tuoni e i fulmini, che non aspettavano di meglio, aderirono subito all’invito; ma un lampo sbarazzino, che non conosceva nessuna legge di pietà, vide quell’ostacolo drizzato tra lui e la pianura e n’ebbe fastidio, e gridatogli: – Come mai tu osi intralciare il cammino a un personaggio importante ed affaccendato come me? – lo abbatté con un salto, e non lasciò di lui che un mucchietto di cenere che il vento poi disperse per il mondo.

    Da allora i lampi hanno giurato guerra alla famiglia dei larici, e non appena ne vedono uno, ci si abbattono sopra, credendo di distruggere l’ambizione e la superbia.

    Pina Ballario – “Fiabe e leggende delle Dolomiti”

  • Alba al Passo Sella

    Alba al Passo Sella

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    A bocca aperta, aspettando il sorgere del sole ed ammirando il gruppo del Sassolungo, l’ennesima meraviglia che ci viene regalata dalle Dolomiti.

    Poi il sole arriva, la bocca rimane aperta (complice anche un inizio di congelamento), e non si trovano più le parole…

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  • Papere

    Papere

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    Evidentemente le loro maestà, i cigni, sono andati a farsi una nuotata altrove ed allora sono loro, le simpaticissime papere del Mincio, ad accogliere con stoica pazienza le orde di turisti che affollano le rive del fiume virgiliano per imbarcarsi sui traghetti fluviali, in un pomeriggio di inizio Autunno, con gli ultimi raggi caldi del sole che accarezzano i canneti e le nuvole all’orizzonte che promettono acqua e fresco.

    Finalmente.

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  • Le Tre Cime

    Le Tre Cime

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    “Die Drei Zinnen”, auf Deutsch, (ora capisco alcune cosette…) sono belle, da qualsiasi lato le si osservi, non ci sono Santi che tengano.

    C’era un filino di gente, a dire la verità, al momento di scattare questa foto: sembrava di essere in piazza il giorno della vittoria ai Mondiali di calcio del ’82; ma i luoghi belli e famosi sono frequentati, si sa. Quindi: taglio panoramico obbligatorio e via andare.

    Essere stati là è un privilegio; tornarci è un obbligo.

  • La nebbia a gl’irti colli…

    La nebbia a gl’irti colli…

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    …piovigginando sale.

    E se non rallento con i tortelli di zucca, ci lascio le penne quando vado a fare queste foto sul crinale.

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  • Un po’ di pace

    Un po’ di pace

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    E’ un periodo un po’ così. Ed è da un po’ che va avanti. I momenti di tranquillità, quelli in cui riusciamo a non pensare ai problemi della vita di tutti i giorni, sono sempre più rari e c’è parecchia gente che si sta impegnando a fondo per azzerarli del tutto.

    E allora bisogna staccare un attimo. Uscire. Andare. Non tanto lontano, niente posti esotici. Basta fermarsi un attimo nel silenzio delle nostre campagne al mattino presto (accidenti al mio cane che si fa un baffo di Greenwich e ora legale) o verso sera.

    L’occhio nel mirino della fotocamera, la testa concentrata solo su ISO, diaframma e tempi. Una mano sull’otturatore e l’altra a darsi zampate addosso per convincere le zanzare a cercarsi un ‘altra vittima.

    Va già meglio.

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  • Le montagne della Bassa

    Le montagne della Bassa

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    Penso che molti siano d’accordo sul fatto che fotografare montagne, colline o alture in genere offra spunti paesaggistici decisamente gradevoli, vuoi per l’aspetto selvaggio di molti di questi luoghi, vuoi per la varietà degli orizzonti piuttosto che per le molteplici forme di varietà vegetali.

    Le cose si complicano un pochino quando il poco tempo a disposizione “costringe” i fotoamatori come a me ad arrangiarsi con i paesaggi che si possono raggiungere in breve tempo, nel mio caso le campagne della Bassa (mantovana, reggiana, parmense o cremonese non fa differenza, tanto io vivo nel “Triangolo dei Türtei ad söca” e di campagna ce n’è a perdita d’occhio).

    Qui le alture scarseggiano un pochino, anzi latitano del tutto. Allora, per dare alle foto quell’aspetto “movimentato” che indubbiamente aiuta, ci si arrangia con le cose più elevate che si trovano, ovvero gli argini di contenimento; il suddetto “Triangolo dei Tortelli di zucca” è circondato dai fiumi Po, Oglio e Mincio e quindi gli argini si trovano un po’ ovunque.

    Basta indovinare – come al solito – meteo favorevole, fioriture, luce radente, un altro migliaio di variabili e qualcosina si combina.

  • Workshop a Torrechiara

    Workshop a Torrechiara

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    Due giorni intensi di studio, pratica e… risate (grazie alla splendida compagnia) al Castello di Torrechiara (PR), nel workshop organizzato e gestito da Alberto Ghizzi Panizza e Lara Zanarini.

    Esperienza veramente gratificante solo in parte rovinata dal meteo… troppo bello!

    Abbiamo iniziato sabato mattina con la parte teorica, fino ad ora di pranzo. E qui desidero ringraziare di tutto cuore l’organizzazione Donne di Torrechiara per la squisita ospitalità e, soprattutto, per gli squisti piatti che ci hanno preparato. Poi via di corsa (eufemismo) sulla strada alta che che sovrasta il Castello e che permette di godere di alcuni scorci veramente interessanti, sia dal punto di vista turistico che, ciò che mi preme di più, fotografico.

    Ci siamo trattenuti fino al tramonto e siamo rientrati per una breve pausa a cui è seguita  – per chi poteva restare – una uscita notturna per la realizzazione di stratrails e foto alla Via Lattea.

    Ci siamo ritrovati all’alba di domenica, nella speranza purtroppo delusa, che il cielo ci regalasse qualche “variabile” in più, ma non c’è stato nulla da fare ed allora ci siamo arrangiati con quel che c’era. Siamo poi ridiscesi al Castello per una visita al suo interno, per un po’ di foto architettoniche e anche e per l’immancabile selfie di gruppo di fine uscita.

    Rientro pomeridiano per la post produzione e poi il “Rompete le righe”.

    Grazie di cuore a tutti, masters e partecipanti.

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  • Spiagiòn

    Spiagiòn

    E’ impressionante come la forza dell’acqua e l’irruenza delle piene del fiume Po riescano a modellare il territorio. E nemmeno in tempi archeologici.

    Nel corso dell’estate appena trascorsa (ammesso che sia finita, considerate le temperature attuali) sono andato con l’amico Lorenzo sulle rive del fiume Po, alla ricerca della grossa lingua di sabbia (spiágion) che si forma a ridosso della sponda sinistra nei pressi del ponte di Viadana, con l’intenzione di fare qualche scatto serale; ebbene: siamo tornati a mani vuote perché al posto della spiaggia c’erano alcuni metri di acqua corrente e tumultuosa.

    Nemmeno quattro mesi dopo ci abbiamo riprovato, accompagnati questa volta anche dall’amico Luca, e, sbucando dall’intricata boscaglia che tappezza la golena, siamo rimasti veramente sorpresi di trovare una distesa di sabbia da far invidia a parecchie località balneari.  C’era solo l’imbarazzo della scelta su dove piazzare il treppiede.

    Piuttosto una raccomandazione mi preme farla: se qualcuno fosse tentato di imitarci, abbia l’accortezza di non andare da solo in quei luoghi; le sabbie di riporto possono essere a volte infide e la strada per il ritorno non è così agevole di notte, anche se il centro abitato è a pochi chilometri.

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  • “Dr. Livingstone, I presume”

    “Dr. Livingstone, I presume”

    bobbio

    Ok, forse ho un po’ esagerato con la citazione di Henry Morton Stanley nel titolo ma, quando non si conosce un luogo e si desidera valutarne le potenzialità fotografiche, gli scorci migliori ed il periodo più favorevole dell’anno, beh è come se si compisse una piccola esplorazione.

    Questa mattina è toccato a Bobbio, splendido paesino millenario adagiato sulle rive del torrente Trebbia, ai piedi delle colline piacentine, conosciutissimo (e fotografatissimo) per il suo ponte vecchio, denominato anche Ponte Gobbo a causa del suo profilo irregolare, con una decina di arcate poste a diverse altezze e distanze.

    Certo che trovare degli spot che non siano già stati fotografati in tutte le salse non è una impresa semplice, ma vale sempre il discorso fatto in passato: ci sono andato anch’io, l’ho fotografato con la mia attrezzatura e quindi queste sono le “mie” foto.

    Oddio, intendiamoci, nulla di trascendentale, per vari motivi legati al meteo, all’orario e ad altre numerose variabili (soprattutto l’incapacità del fotografo).

    Però, intanto, ho esplorato e memorizzato. E Bobbio non scappa mica.