Categoria: Blog

  • Ricchezza

    Ricchezza

     

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    Un padre ricco, volendo che suo figlio sapesse che significa essere povero, gli fece passare una giornata con una famiglia di contadini.
    Il bambino passò tre giorni e tre notti nei campi.
    Di ritorno in città, ancora in macchina, il padre gli chiese:
    “Che mi dici della tua esperienza?”.
    “Bene – rispose il bambino.”.
    “Hai appreso qualcosa?” insistette il padre.
    “Beh, ho appreso che noi abbiamo un cane e loro ne hanno quattro.
    Che abbiamo una piscina con acqua trattata, che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume, con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.
    Che abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.
    Che il nostro giardino arriva fino al muro. Il loro, fino all’orizzonte.
    Che noi compriamo il nostro cibo; loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.
    Che noi ascoltiamo CD… Loro ascoltano una sinfonia continua di uccelli, grilli e altri animali… Tutto ciò, qualche volta, accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.
    Che noi utilizziamo il microonde. Ciò che cucinano loro, ha il sapore del fuoco lento
    Che noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme. Loro vivono con le porte aperte, protetti dall’amicizia dei loro vicini.
    Che noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre e alle loro famiglie.”.
    Il padre rimase molto impressionato dai sentimenti del figlio. Alla fine il figlio concluse: “Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri!”.

  • Nascosto

    Nascosto

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    Capita di passare su un ponte attraversato decine di volte e con la coda dell’occhio vedi qualcosa che non ti aspettavi, qualcosa che non hai mai visto (o guardato).

    Capita che sei in un centro abitato, capita che tutto intorno ci sia degrado,  anche umano, purtroppo.

    Capita che l’uomo abbia sporcato in tutti i modi possibili queste acque e queste rive.

    Ma capita anche che la Natura sia forte e ti regali l’ennesima poesia autunnale che, solo per un attimo, un clic, ti fa dimenticare tutto ciò che c’è attorno.

    Capita.

     

     

  • L’attesa

    L’attesa

    _sph3769… “Era autunno. Le colline rosseggiavano come alte fiamme per le selve di castagni che infoltivano le loro groppe; la pigra terra pareva dormisse sotto una coperta leggera di foglie.
    Sulle aie le donne sfogliavano il granoturco giallo.
    Gli uomini risciacquavano, al pozzo colmo d’acqua chiara, i cesti usati per la vendemmia.
    Un odore frizzante di vino nuovo, come profumo di violette, si spandeva per l’aria.
    Questo profumo rende il vino più dolce al palato – disse Beppe bevendo un bicchiere di vino spillatò da una botticella.
    Il sole era calato dietro le pinete verdi e le erbe alte, timide, si erano tinte di giallo.
    Le foglie secche si erano fermate sui rami: gli alberi sembavano attendere, pazientemente, che il vento li spogliasse e concedesse loro il lungo riposo dell’inverno.. Anche il canto degli uccelli si era spento sulle cime degli alberi.”…

    “Campagna d’Autunno” – Lorenzo Viani

     

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  • La leggenda del larice ambizioso

    La leggenda del larice ambizioso

    _sph3689-modificaDicono i trentini che il larice attiri il fulmine, quindi, guai ripararsi sotto un larice quando c’è un temporale. Il perché della predilezione del fulmine per questa pianta viene dai montanari di Lavazè spiegato con la leggenda che vi narro.

    C’era una volta lassù un larice; un bel larice giovane, verde, con tante fronde tenere che lo vestivano a festa lussuosamente. Egli si credeva il più bel larice del mondo, destinato a diventare chi sa che! Nell’inverno, quando la neve gli bordava d’ermellino la veste, assumeva un aspetto regale, pareva un candelabro, una torciera d’altare, un tabernacolo, qualcosa di grandioso e di solenne… Nella primavera, quando il sole lo puliva, luccicava con tutti i suoi aghi messi a nuovo, pronti a pungere e a graffiare, né l’estate lo ingialliva né l’autunno lo sfiorava.

    Era il prediletto della fata dei boschi o egli si credeva tale, e aveva un contegno così sdegnoso che gli scoiattoli non osavano scalarlo, né gli uccelli fabbricavano il nido tra i suoi rami. Eppure lo avevano tentato, lo sapete?

    – Il vero valore si riconosce anche tra la folla – gli diceva la madre scrollando le fronde, ma era fiato buttato.

    Quel larice pazzo si sentiva destinato a un’esistenza d’imperatore, e moriva di sbadigli, nella terra natia, costretto a viverci una vita uniforme pettegola in una promiscuità ingiuriosa. Il muschio gli si arrampicava sul tronco senza neppure chiedergli il permesso e pretendendo anzi gratitudine perché lo scaldava e lo vestiva! E l’edera che gli succhiava la linfa dicendo che non poteva staccarsi da lui perché  l’amava troppo e sarebbe morta di dolore, lontana da lui, e le radici dei compagni che si univano alle sue avvincendole, incuranti delle sue proteste!

    Il tasso, e il grillo, e le bestiole litigiose che stridevano e urlavano sotto le sue finestre di giorno e di notte, e più di notte che di giorno, senza nessun riguardo per le sue meditazioni e il risposo! E madonna marmotta che all’appressarsi dell’inverno si scavava la tana tra le sue radici, minandone le basi…

    C’era di che spazientire un santo! In quella repubblica democratica egli si sentiva troppo aristocratico: aristocratico ogni giorno più. E perciò guardava in alto, in alto, sulle vette nude dei monti, e sospirava pensando alle cose belle che ci dovevano essere al di là. Lo chiese al vento, che cosa vedeva oltre le cime, sull’altro versante,

    Cammina, cammina, com’era pesante! Egli credeva di camminare lievemente come tutte le bestie a due, a quattro zampe e invece ogni passo gli costava una fatica mortale, ma pur di allontanarsi dal luogo natìo, avrebbe lasciato la vita, e non si fermava neppure a gettare uno sguardo di rimpianto al lembo di terra dov’era nato e cresciuto, e dove lasciava la mamma, i fratelli… ma su, balzelloni verso la vetta. Che fatica!

    – Oh! – rideva la luna all’insolito spettacolo. – Di cose ne ho viste tante da che abito in cielo, ma di larici che camminano non ne ho visti mai.

    – Sono contento di essere il primo – rispose il larice bilioso.

    Allora nessuno parlò più ed egli giunse in cima in un gran silenzio, accompagnato soltanto dal sibilo del vento che non lo temeva e non cessava di burlarlo: – E adesso? E adesso?

    – Adesso, – rispose il larice respirando di sollievo poiché la vetta era raggiunta – adesso il mio sogno è compiuto; sono solo e domino i greggi dei pini e dei larici e degli abeti di tutto il mondo, e poiché ho conquistato il posto più alto, mi proclamo il loro re. – E piantò con fierezza le radici nel suolo. I pini, i larici e gli abeti guardarono in su, e risero di quella bravata, dicendogli: – In alto può abitare soltanto chi non soffre di vertigini, altrimenti si rischia di precipitare in basso irrimediabilmente.

    Venne infatti l’inverno, e il larice ebbe freddo, e soffrì tutte le torture della inclemenza degli elementi, e gli scherzi del ghiaccio, e le sferzate della tormenta, ma sarebbe morto piuttosto che tornare al bel tepore che nonostante le intemperie proteggeva la comunità delle altre piante nel bosco dove era nato. Poi l’inverno passò, e dopo la primavera clemente, sopraggiunse l’estate e il vento ritornò a dargli buffetti sbarazzini sulla cima, esortandolo a tornare al suo bosco dove tutti l’attendevano per ripararlo dai raggi insopportabili del sole che l’avrebbero bruciato fino alle radici; ma il larice rifiutò di ascoltarlo e ripeté: – Pensa ai fatti tuoi, messer vento, e io penso ai miei. – Poi quando la vampa del sole divenne insopportabile e si abbatté tutta su di lui che si ergeva così solo sulla vetta del monte, incominciò a bruciare di sete, a infebbrarsi e a gridare: – Ho sete, ho sete! Nuvole abbiate pietà di me, regalatemi un poco di pioggia, non lasciate morire il re delle piante. – Le nuvole ne ebbero pietà, e raccoltesi in gruppo pensarono di combinare un po’ di temporale e chiamarono in aiuto i tuoni e i fulmini.

    I tuoni e i fulmini, che non aspettavano di meglio, aderirono subito all’invito; ma un lampo sbarazzino, che non conosceva nessuna legge di pietà, vide quell’ostacolo drizzato tra lui e la pianura e n’ebbe fastidio, e gridatogli: – Come mai tu osi intralciare il cammino a un personaggio importante ed affaccendato come me? – lo abbatté con un salto, e non lasciò di lui che un mucchietto di cenere che il vento poi disperse per il mondo.

    Da allora i lampi hanno giurato guerra alla famiglia dei larici, e non appena ne vedono uno, ci si abbattono sopra, credendo di distruggere l’ambizione e la superbia.

    Pina Ballario – “Fiabe e leggende delle Dolomiti”

  • Alba al Passo Sella

    Alba al Passo Sella

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    A bocca aperta, aspettando il sorgere del sole ed ammirando il gruppo del Sassolungo, l’ennesima meraviglia che ci viene regalata dalle Dolomiti.

    Poi il sole arriva, la bocca rimane aperta (complice anche un inizio di congelamento), e non si trovano più le parole…

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  • Lettore dati Nikon MV-1

    Lettore dati Nikon MV-1

     

    Nikon MV-1Exchangeable image file format (abbreviazione Exif) dovrebbe essere la definizione di quella serie di dati (ora, data, modello e produttore della macchina e dell’obiettivo, apertura, tempo di scatto, lunghezza focale, eccetera) che le fotocamere digitali “scrivono” in uno scatto fotografico.

    Dovrebbe.

    In realtà è anche il nome di un’orrenda malattia, incurabile temo, che affligge chiunque scatti fotografie digitali. Alzi la mano chi, davanti ad uno scatto bellissimo, al confine con l’arte, non si sia limitato a chiedere all’autore cosa ha visto mentre scattava, com’era la luce, cosa voleva riprodurre ma “…e con che macchina l’hai fatta? Puoi postare i dati Exif?…”. E se, per caso, la risposta è: “L’ho fatta con la pellicola, è una scansione da negativo.” si scatena nell’inquisitore una crisi allergica, con eruzioni cutanee e febbre alta.

    Ecco, appunto. E se scattiamo con la pellicola?

    Non sono informato per altri marchi o modelli di macchine fotografiche ma, se avete una Nikon F100, una F5 oppure una F6, potreste essere interessati al lettore di dati Nikon MV-1.

    E’ un dispositivo che consente di trasferire su una scheda di memoria Compact Flash, formattata con il file system FAT, i dati memorizzati dalle suddette fotocamere e copiare il file in formato CSV ottenuto su un qualsiasi personal computer importandolo in un foglio di calcolo (tipo Microsoft Excel).

    Il procedimento è piuttosto semplice, anche se deve essere eseguito rispettando cronologicamente tutti i passi necessari (questa è la procedura che seguo per la Nikon F6, ma è praticamente identica per le altre due):

    • controllare che nella fotocamera non ci sia il rullino (sul contafotogrammi comparirà il simbolo E) e che le batterie abbiano carica a sufficienza;
    • spegnere la fotocamera;
    • collegare il lettore alla macchina tramite il cavetto con morsetto a 10 pin;
    • inserire la Compact Flash (formattata) nello slot del lettore MV-1;
    • accendere la macchina fotografica
    • premere il pulsante dell’MV-1; la spia luminosa verde inizierà a lampeggiare e, a trasferimento avvenuto, rimarrà a luce fissa per sei secondi prima di spegnersi; se la spia luminosa rossa non ha dato segni di vita durante il trasferimento, significa che tutto è andato per il verso giusto, che i dati sono sulla scheda e che sono stati contemporaneamente cancellati dalla memoria della macchina fotografica;
    • spegnere la fotocamera, rimuovere la scheda Flash dal lettore e scollegare il lettore stesso dalla macchina fotografica.

    Il procedimento per l’importazione dei dati nel foglio di calcolo per la visualizzazione è altrettanto semplice: è sufficiente fare riferimento alle istruzioni del software in uso; per Microsoft Excel occorre:

    • scegliere “Apri” dal menù “File”
    • impostare il tipo di file su “File di testo” e scegliere il file da importare (generalmente: “nikon_dr”, “F6”, “ID012”, “n00001.txt”);
    • selezionare il file tipo “Delimitati”
    • nei delimitatori selezionare “Virgola” ed eliminare gli altri segni di spunta; il campo “Qualificatore di testo” deve essere impostato con “nessuno”;
    • impostare i formati delle varie colonne: tranne la colonna che contiene le date e che deve , ovviamente, essere settata sul formato “Data”, le altre si impostano con il formato “Testo”;
    • cliccare su “Fine” ed inizia l’importazione dei dati.

    Tutto qui, lunghetto ma non complicato. In compenso avremo a disposizione: velocità (ISO) della pellicola, numero pellicola, ID fotocamera, numero fotogramma, tempo di otturazione, apertura, lunghezza focale, diaframma massimo, sistema di misurazione, modalità di esposizione, modalità sincronizzazione flash, valore compensazione esposizione, differenza valore d’esposizione in Manuale, valore compensazione esposizione flash, impostazione speedlight, esposizione multipla, blocco esposizione, riduzione vibrazioni, data in formato aa/mm/gg, ora e stampa dati.

    A questo punto, se qualcuno vi pone la suddetta fatidica richiesta “…Puoi postare i dati Exif?…”, ora potrete stupirlo inviandogli via mail il file che soddisferà le sue domande esistenziali.

    Un consiglio? Trattandosi di macchina analogica e rullino fotografico, io rimarrei in tema inviandogli una stampa cartacea del file tramite la posta ordinaria.

    Con francobollo rigorosamente leccato.

  • Parma di notte

    Parma di notte

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    E’ stata una serata coinvolgente quella di ieri.

    Visita della mostra fotografica “I’ll be your mirror” con le foto degli amici Lara Zanarini e Alberto Ghizzi Panizza, nella bella galleria Fogg – art photo gallery di Borgo S.Silvestro a Parma, ospitati dalla gentilissima Chiara. Poi passeggiata fotografica e culturale per le strade dei borghi e per le piazze storiche di Parma, accompagnati dalla guida turistica Alice Rossi.

    Grazie a tutti per la piacevolissima esperienza.

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  • Papere

    Papere

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    Evidentemente le loro maestà, i cigni, sono andati a farsi una nuotata altrove ed allora sono loro, le simpaticissime papere del Mincio, ad accogliere con stoica pazienza le orde di turisti che affollano le rive del fiume virgiliano per imbarcarsi sui traghetti fluviali, in un pomeriggio di inizio Autunno, con gli ultimi raggi caldi del sole che accarezzano i canneti e le nuvole all’orizzonte che promettono acqua e fresco.

    Finalmente.

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  • Latte e oro

    Latte e oro

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    Non ho alcuna intenzione di alimentare “guerre di religione” (ce ne sono già abbastanza in giro) fra i fans del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, perché sempre di eccellenze assolute stiamo parlando. Il fatto è che ho avuto la grande fortuna di poter visitare un importante caseificio della mia zona e di poter assistere a molte fasi della lavorazione primaria del Grana Padano e ne sono rimasto letteralmente affascinato.

    Se non fosse per i macchinari moderni che hanno sostituito alcuni oggetti e fasi di produzione del passato e per le ferree norme di igiene che vengono scrupolosamente osservate, tutto il resto è una immersione totale, nostalgica, in gesti sapienti, in profumi, sapori e colori che hanno radici agli inizi del secondo millennio e che, da allora, hanno attraversato il tempo per giungere fino a noi, intatti.

    Ringrazio di cuore la Latteria Italia di Bellaguarda (Mantova), i titolari ed il personale, per l’ospitalità e la pazienza riservata a me ed all’amico Lorenzo, compagno di fotografie.

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  • Le Tre Cime

    Le Tre Cime

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    “Die Drei Zinnen”, auf Deutsch, (ora capisco alcune cosette…) sono belle, da qualsiasi lato le si osservi, non ci sono Santi che tengano.

    C’era un filino di gente, a dire la verità, al momento di scattare questa foto: sembrava di essere in piazza il giorno della vittoria ai Mondiali di calcio del ’82; ma i luoghi belli e famosi sono frequentati, si sa. Quindi: taglio panoramico obbligatorio e via andare.

    Essere stati là è un privilegio; tornarci è un obbligo.

  • La nebbia a gl’irti colli…

    La nebbia a gl’irti colli…

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    …piovigginando sale.

    E se non rallento con i tortelli di zucca, ci lascio le penne quando vado a fare queste foto sul crinale.

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  • Un po’ di pace

    Un po’ di pace

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    E’ un periodo un po’ così. Ed è da un po’ che va avanti. I momenti di tranquillità, quelli in cui riusciamo a non pensare ai problemi della vita di tutti i giorni, sono sempre più rari e c’è parecchia gente che si sta impegnando a fondo per azzerarli del tutto.

    E allora bisogna staccare un attimo. Uscire. Andare. Non tanto lontano, niente posti esotici. Basta fermarsi un attimo nel silenzio delle nostre campagne al mattino presto (accidenti al mio cane che si fa un baffo di Greenwich e ora legale) o verso sera.

    L’occhio nel mirino della fotocamera, la testa concentrata solo su ISO, diaframma e tempi. Una mano sull’otturatore e l’altra a darsi zampate addosso per convincere le zanzare a cercarsi un ‘altra vittima.

    Va già meglio.

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