Altrove ho spiegato la mia esigenza di prendermi alcune pause dal digitale e “tornare” a fotografare in analogico, con una fotocamera a pellicola 35mm, una Nikon F6 per la precisione.
Ecco, poiché le scimmie tecnologiche girano sempre in coppia, ho pensato bene di alleggerire un poco l’attrezzatura analogica ed affiancare alla suddetta F6 una macchina più gestibile, meno ingombrante e pesante: la Mamiya RB67 Pro SD.
Sto scherzando, la RB67 non è grossa e pesante. Di più. Sono due chili, seicento grammi e rotti di metallo, vetro e plastica (poca). Ed è grande, cavolo se lo è.
E’ una fotocamera cosiddetta “medio formato” che utilizza le pellicole a rullino tipo 120 e 220 e con la quale è possibile ottenere negativi in formato 6×7 (il formato base) ma anche il 6×4,5 oppure il 6×8, senza trascurare (ammesso di trovarlo) il 7×7 su pellicola istantanea tipo Polaroid.
Inutile dirlo: volume e peso la “battezzano” come macchina da studio, ma se si è dotati di ferrea volontà e spalle buone, nulla vieta di portarsela in giro per paesaggi, tenendo in considerazione che è assolutamente necessario abbinarla ad un treppiede degno di questo nome e non una di quelle cineserie ballerine che troppo spesso girano attaccate agli zaini dei paesaggisti.
Come è fatta? E’ il classico cubo modulare a cui devono essere collegati i diversi accessori indispensabili al suo funzionamento: l’obiettivo, un pozzetto che rivela lo schermo di messa a fuoco, un dorso porta pellicola; nel corpo sono contenuti specchio riflettente e soffietto che serve per la messa a fuoco. Sulla destra della fotocamera c’è la grande leva che serve per il riarmo del sistema specchio-otturatore ma, per avanzare la pellicola, occorre affidarsi ad una seconda leva che si trova sul magazzino pellicola; la messa a fuoco avviene attraverso due manopole (una per lato) che fanno avanzare un soffietto vicino al quale c’è una tabella che indica le distanze di messa a fuoco riferite agli obiettivi montanti in macchina ed il valore di compensazione da applicare in base all’estensione del soffietto; sulla parte anteriore c’è la piastra di aggancio delle ottiche (metallo puro, Deo gratias) con i collegamenti che attivano l’otturatore che, cosa che alla digital generation suonerà stranissima, è contenuto in ogni singolo obiettivo; il pulsante di scatto si trova sempre anteriormente in basso a destra ed è filettato per consentire il collegamento di uno scatto remoto. La cosa più bella, secondo me, è sul retro della macchina: il dorso rotante; essendo il formato 6×7 (o il 6X8) rettangolare, è possibile scattare foto in formato verticale od orizzontale non ruotando la fotocamera (esercizio a dir poco problematico) ma ruotando, appunto, il contenitore della pellicola. Mica male, vero? Nel mirino sono presenti due serie di linee parallele che aiutano il fotografo a individuare i bordi dell’inquadratura. Avviso ai naviganti: non si rischia di rimanere “a piedi” perché è tutto meccanico, non servono batterie, tant’è vero che non è compreso nemmeno l’esposimetro; a tal proposito consiglio caldamente di acquistarne uno esterno, magari che disponga di misurazione spot: io l’ho trovato in Giappone (!!!), un Sekonic L-408 Multimaster usato ma tenuto maniacalmente (credo di aver trovato uno più “sofistico” di quanto lo sia io…).
Impressioni d’uso? Forse è un po’ presto, ho fatto solo un paio di rullini di prova, ma la sensazione che si ricava dall’utilizzo della RB67 è piacere puro: l’iniziale idea di complessità viene ben presto sostituita dalla soddisfazione di usare una macchina ben studiata in tutte le sue componenti e rapidamente si prende dimestichezza con la necessità di usare due leve per avanzare la pellicola ed armare l’otturatore, da subito ci si abitua alle manopole di messa a fuoco e, dopo un po’ di uso, si è letteralmente entusiasti del gigantesco schermo di messa a fuoco e del dorso portapellicola che ruota. L’otturatore non è rumorosissimo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare considerata la quantità di vetro e metallo che si muove al suo scatto: diciamo che si fa notare.
E le foto? Eh, per quelle servirebbe prima di tutto un fotografo serio, sicuramente non io. Comunque ho fatto alcune scansioni digitali di scatti di prova (con pellicola Kodak Portra 160 e 400) e devo dire che…
Beh, date voi stessi un’occhiata.
4 Comments
Concordo in pieno, è un’esperienza che vale la pena di fare, ed è una macchina di cui è molto difficile pensare di disfarsi. Anzi, sto cercando il dorso 6×8!! La qualità delle ottiche Mamiya poi è indiscussa. Ho anche la Mamiya 7 e la qualità è sempre elevatissima e permette stampe formato poster.
Assolutamente d’accordo (e non potrebbe essere altrimenti). p.s. Ti invidio la 7, non sai quanto.
With this camera you have a huge problem creates a strong addiction!!!!
That’s right, you said it! 😀